Se la Sicilia scoprisse il petrolio? |Rimarrebbe comunque povera - Live Sicilia

Se la Sicilia scoprisse il petrolio? |Rimarrebbe comunque povera

L'estrazione del greggio? Ne beneficiano soltanto le compagnie. Tanto che nel 2009, a fronte di "oro nero" estratto nell'Isola per un valore di 278 milioni, la Regione ne ha incassati 4,4.

PALERMO – A Gela le trivelle si estendono per oltre 800 chilometri quadrati, con 131 pozzi che producono ogni anno 420 mila tonnellate di petrolio. A Ragusa i pozzi sono invece 102, distribuiti su 177 chilometri quadrati e producono ogni anno tra le 80 e le 100 mila tonnellate di greggio. Sono i due principali campi di trivellazione Eni in Sicilia: insieme valgono almeno 500 mila tonnellate di greggio all’anno e costituiscono circa il 10% di tutta la produzione italiana del Cane a sei zampe. Ma sull’isola non c’è solo l’Eni: dal 2009 c’è anche la Mediterranean Resources, l’azienda texana che con la controllata Irminio gestisce un pozzo a Ragusa, da cui ogni anno si estraggono 50 mila tonnellate di greggio. In totale dal sottosuolo dell’isola sono state estratte 556 mila tonnellate di petrolio nel 2009, 600 mila nel 2010, per arrivare al picco di 630 mila tonnellate nel 2011. Un record che costituisce il 12% dell’intera produzione nazionale di petrolio estratto sulla terraferma. Ogni anno in Italia si estraggono infatti circa 4 milioni di tonnellate di greggio e la Sicilia è la seconda regione più produttiva dopo la Basilicata.

I guadagni, però, restano a chi estrae. Se una tonnellata di greggio vale fra 500 e 700 euro, quello estratto in Sicilia vale una cifra compresa fra i 300 e i 400 milioni di euro all’anno. Le royalties, però, sono fra le più basse del mondo: fino al 2009 per il greggio estratto sulla terraferma le società dovevano lasciare nelle casse dello Stato appena il 7%, calcolato sulla media dei prezzi di vendita fatturati. Una percentuale irrisoria, se pensiamo che negli altri Stati le royalties variano tra il 20 e l’80%. Questi soldi non vanno per intero alla Regione. Il 30% resta allo Stato, mentre il resto viene suddiviso fra Regioni e comuni: la legge siciliana prevede che due terzi vadano agli enti locali e il resto rimanga a Palazzo d’Orléans. Se quindi la produzione di petrolio 2009 valeva 278 milioni, all’assessorato sono rimasti solo 4,4 milioni di euro, mentre altri 9 milioni sono stati girati ai Comuni. Anzi sarebbero: i tempi di pagamento delle royalties sono infatti molto dilatati nel tempo, con il risultato che ancora a fine 2011 Eni e Irminio avevano trasferito solo 420 mila euro su 13 milioni dovuti per il 2009.

Nel 2010 le royalties sono state un po’ alzate, arrivando al 10%. Ma la differenza va per intero al Fondo nazionale per la riduzione del prezzo dei carburanti, senza nessun beneficio diretto per Regione e Comuni. Che quindi, a fronte di petrolio estratto per 300 milioni, hanno incassato in totale 19 milioni (7 per la Regione e il resto per gli enti locali). E per di più i quantiativi estratti vengono autocertificati: l’Ufficio per gli Idrocarburi può controllare, ma non esiste una disciplina sulle verifiche, che quindi vengono affidate al buon senso dei petrolieri.

Estrarre petrolio in Sicilia quindi conviene parecchio. E le previsioni incoraggiano chi lo cerca: le stime più recenti parlano di due milioni di tonnellate estraibili ogni anno dal sottosuolo siciliano. Così, ad esempio, Mediterranean Resources ha messo gli occhi su un’area di cento chilometri a Scicli, mentre la Panther Eureka aveva iniziato a piazzare le trivelle nel Val di Noto, in un’area di oltre 700 chilometri quadrati che abbraccia le provin- ce di Catania, Siracusa e Ragusa.
Il petrolio siciliano però fa gola anche agli italiani: all’assessorato regionale all’energia pendono anche le istanze di richiesta dell’Eni, che vorrebbe allargare il bacino di ricerca ad una maxi area di circa settecento chilometri quadrati nella zona di Petralia Soprana, in provincia di Palermo, e a Biancavilla, in provincia di Catania. La Fmg di Bologna, invece, vuol perforare un’area di oltre 700 chilometri quadrati tra Catania, Enna e Messina. Tutte richieste alle quali la Regione dovrà fare un doppio esame: il primo è sulle effettive capacità economiche delle varie società di effettuare le ricerche e le eventuali estrazioni. Il secondo test a cui l’Urig sottoporrà le istanze di ricerca è quello più importante: ovvero le condizioni tecniche e ambientali in cui si svolgeranno le trivellazioni. Un nodo importante nel caso della Enel Longa- nesi Developments, una costola dell’Enel Trade, che il 24 agosto del 2011 ha presentato istanza alla Regione per installare una maxi centrale di ricerca in Sicilia occidentale: l’aria interessata è la Valle del Belice, sfiora gli 800 chilometri quadrati, e tocca le provincie di Agrigento, Palermo e Trapani. Ben sedici i comuni che ospiterebbero le trivelle della Longanesi: l’agrigentino San- ta Margherita Belice, i palermitani Bisacquino, Campofiorito, Camporeale, Contessa Entellina, Corleone, Monreale, Partinico, Piana degli Albanesi, Roccamena, San Cipirello e San Giuseppe Jato e i trapanesi Alcamo, Gibellina, Poggioreale e Salaparuta. Proprio la zona che il 24 e 25 gennaio del 1968 fu colpita dal fortissimo terremoto che rase al suolo alcuni comuni uccidendo nel sonno 370 persone. Una circostanza che ha portato le asso- ciazioni Altra Sciacca e No Triv a protestare.

Quanto si può estrarre? I piani tecnici sono stati mantenuti fino a questo momento segreti, segno che la società pensa di poter trovare grandi quantità di greggio. Vista l’estensione della zona, la stima che circola alla Regione è di duecentomila tonnellate all’anno nel primo periodo, per controvalore di 50 milioni. Alla Regione, così, andrebbero un milione e 150 mila euro, mentre i 16 comuni interessati si dividerebbero due milioni e duecento mila euro. Come scoprire il petrolio e rimanere poveri.


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