Abitare un luogo che non c'è - Live Sicilia

Abitare un luogo che non c’è

Arriva la domenica e arrivano le feste. Sopraggiungono le belle giornate, tiepide e soleggiate. La brezza primaverile allontana le grigie nuvole invernali. La città si riempie di luce, i giardini di fiori e profumi estivi. Arriva l’ ora legale, e le giornate si allungano, confondendoci quando guardiamo l’ora: sono le 19.00 e ancora fuori c’è una luce che ti invoglia a rimanere in giro, a godere ancora del giorno e delle possibilità che questo può offrire.

Non abbiamo tanti parchi, né tantomeno grandiosi e di grande estensione, ma Villa Trabia o il Giardino Inglese sicuramente sono un egregio esempio di come la natura si possa sposare con la storia siciliana. Il giardino seicentesco di Villa Trabia, con i suoi alberi secolari assurge a divenire quasi un piccolo giardino botanico; il Giardino Inglese, creato nella metà dell’Ottocento da Filippo Basile, è ornato con statue e fontane di pregevole fattura. Ospita esemplari unici di palme, ficus e specie esotiche appositamente pensate dall’architetto Basile e trapiantate per ricordare “l’antico giardino di delizie dell’emiro arabo Ibn Hawqal”. Tra queste bellezze non si può non ricordare Villa Giulia, o ancora l’orto Botanico dell’Università degli Studi di Palermo, un enorme museo all’aperto, considerato come una tra le più importanti istituzioni accademiche italiane. Ed ancora, le piazze storiche della città, l’ elegante via Libertà e la più low cost via Ruggiero Settimo.

Descritta in questi termini, Palermo, così come le bellezze che ci circondano su tutto il territorio siciliano, sembra davvero una perla del Mediterraneo, ma la scorza che la ricopre non va dimenticata. Il degrado, la sporcizia, la mancanza di cura e di senso di appartenenza verso lo spazio pubblico, oscurano la scintillante bellezza della città, come una patina di polvere, spessa, che con il tempo si è accumulata sopra un vecchio ma splendido e pregiato quadro, spegnendone i colori. Cosa accade, dunque, quando una città così ricca di storia, così viva nella propria identità si trova a fare i conti con l’ ondata personificante rappresentata da quei luoghi che Marc Augè, etnologo e antropologo sociale tra i più noti al mondo, definisce non luoghi?

“Non-luoghi” sono gli spazi anonimi, senza storia e senza identità frequentati da folle di uomini e donne freneticamente in transito che non stabiliscono relazioni, così come avviene negli aeroporti, centri commerciali, o nei grill autostradali. Sono luoghi di passaggio,vissuti da individui che si incrociano senza mai incontrarsi. Lo studioso definisce i non luoghi in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.

La tesi del Non-luogo appare forse un po’ troppo severa, o comunque più adatta a contesti di metropoli, ancora lontani dalla nostra realtà, ma c’è una frase di Augè che mi ha colpito: “Le persone transitano nei non-luoghi ma nessuno vi abita realmente”. Ecco quindi che le nostre piazze, le nostre vie, i nostri giardini, diventano Non Luoghi, nel senso di luoghi di passaggio, di transito verso lo spazio privato delle nostre case, che a differenza dei luoghi pubblici, saranno sempre curate, pulite e profumate, poiché queste le sentiamo come nostre, come luoghi di appartenenza, come luoghi antropologici. Il resto, il fuori, è di tutti e quindi di nessuno; un non-luogo che nessuno abita e che nessuno ama. Amore, proprio perché per valorizzare e abitare un luogo, bisogno amarlo, esserne innamorati alla stregua dell’ amore che proviamo per casa nostra, o per la compagna/o che scegliamo avere accanto, perché anche la città che abitiamo, ci accompagnerà per tutta la vita, nella buona e cattiva sorte “ finché morte non ci separi”.

Arrivano dunque le belle giornate, arriva il sole ed il tepore estivo; le piazze si popolano, i giardini si riempiono, ma non c’ è amore, non c’è presenza, non c’è sentore di casa in questo transitare e sostare delle persone. E quando la gente si appresta a tornare al focolare, rimangono i segni tangibili di tale indifferente passaggio: plastica, carta, immondizia e incuria si soffermano a chiacchierare tra di loro, godendo anche esse dello splendore che la città offre. Palermo è, quindi, come una perla, che però appare spenta ed ingiallita dal tempo, poiché la donna che la custodisce, non la indossa, forse perché non l’ama o forse perché ne è tanto gelosa; così la lascia chiusa al buio, dentro un cassetto, impedendole di mostrare la sua bellezza agli occhi di chi la guarda.

 

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