La crisi è Cosa nostra - Live Sicilia

La crisi è Cosa nostra

Al Sud i clan risentono della difficile congiuntura economica, ma resta il ruolo della mafia come "facilitatore" nell’aggiudicazione di lavori pubblici da parte delle aziende private.

Tre economisti, Margherita Billeri, Mario Centorrino e Pietro David, hanno pubblicato su l’autorevole lavoce.info, un articolo dal titolo “L’economia di Cosa Nostra al tempo della crisi”. Il pezzo, tratteggia la geomafia d’Italia ed il rapporto nuovo dell’onorata società con la politica. L’articolo degli economisti, ovviamente, si basa sui materiali resi disponibili dalle indagini giudiziarie e perciò è solo un abbozzo, la punta economica d’un iceberg che resta misterioso e sommerso. Tuttavia, gli economisti, riescono a tirare fuori delle cifre interessanti, sullo stato dell’economia mafiosa e così scopriamo che una delle più recenti confische a beni di mafia è pari alla somma di 1,3 miliardi di euro.

Ma le domande che si pongono gli studiosi sono tre. Quali strategie d’investimento ha Cosa Nostra? Come sono cambiati i rapporti di questa con la politica? Che redditività hanno i settori di attività della mafia? Per rispondere ai quesiti, gli autori dell’articolo, premettono prima le differenze “estetiche”, che esistono tra la mafia al Nord e la mafia al Sud. Circa il Nord, individuano una mafia che si manifesta attraverso “una sorta di aristocrazia mafiosa” che in questo momento di crisi, offre capitali alle aziende locali in crisi, accontentandosi in cambio di quote di minoranza, strategicamente. C’è quindi il tentativo di “colonizzare” progressivamente le aziende sane che sono in mancanza di liquidità. I capitali mafiosi che vanno a comprare queste quote, sono ricavati dal traffico della droga. Al Sud ed in particolare in Sicilia, anche Cosa Nostra risente della crisi e così secondo gli studiosi “il ricavato delle estorsioni serve appena a pagare gli onorari degli avvocati, a procurarsi liquidità per dare sostegno alle famiglie dei detenuti e a mantenere il controllo sul territorio”.

Ma in Sicilia, tiene ancora il mercato della droga, che non sembra risentire della crisi, tanto che è questo ancora il “core business” della mafia nell’isola. Il dato che fa esprimere questa valutazione agli economisti è quello che rileva che da agosto 2012 a marzo 2013 solo nella sola Palermo, le forze dell’ordine hanno sequestrato droga per il valore di un milione e mezzo di euro e spiegano che secondo una “vecchia regola” le sostanze sequestrate sono solo il 20% di quelle circolanti. Detto questo, i settori su cui la mafia investe, sono invece: alberghiero, grande distribuzione, cantieristica navale. Resta inoltre il ruolo di Cosa Nostra come “facilitatore” nell’aggiudicazione da parte delle aziende private di lavori pubblici. Tanto vicino il ruolo di Cosa Nostra a quello della politica che per gli studiosi, non c’è più un mafioso che dà ordini ed un amministratore che esegue. Oramai, sono compartecipi d’un unico sistema e quindi sempre più indistinguibili. Dall’analisi degli economisti viene fuori perciò il seguente dato: Cosa Nostra in questo periodo di crisi, pare essere l’azienda che più d’ogni altra è stata capace di adattare il suo modello economico ai tempi nuovi e magri. L’altro dato che emerge è quello che in Sicilia gli interessi mafiosi, rappresentano una larga parte dell’economia. Questo, significa che la Sicilia, alla crisi strutturale dei mercati internazionali, aggiunge la crisi di legalità, che incide pesantemente sull’economia reale. Alla fine della fiera, i siciliani oggi, sono perciò schiacciati da una doppia crisi, che impoverisce sempre di più gli uomini ed il territorio. Chi si sente più di dire che la mafia non è l’essenza della Sicilia?


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