Fiori Bianchi, 80 richieste di giudizio |Santapaola, estorsioni e appalti - Live Sicilia

Fiori Bianchi, 80 richieste di giudizio |Santapaola, estorsioni e appalti

Si è svolta a Bicocca l'udienza preliminare per la maxi inchiesta dei Pm Giuseppe Gennaro e Agata Santonocito sotto il coordinamento di Giovanni Salvi contro cosa nostra catanese. 65 degli imputati hanno presentato istanza per procedere con il rito abbreviato. TUTTI I NOMI 

CATANIA –  Fiori Bianchi 3, dopo Iblis, rappresenta l’inchiesta della Dda che ha radiografato in maniera capillare affari, connivenze, infiltrazioni e influenze economiche della famiglia catanese di cosa nostra, “promossa e diretta – come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal Pm Agata Santonocito – da Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano (classe ’60) e Vincenzo Santapaola”. Ottanta nomi sono stati portati davanti al Gup: 80 nomi che comporrebbero il braccio armato della criminalità organizzata che “articolata in gruppi stanziati sul territorio” (LA MAPPA) ha per anni dettato le regole del malaffare a Catania e provincia avvalendosi “della forza di intimidazione” al fine di commettere “una serie indeterminata di delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, la pubblica amministrazione; per acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni e di appalti e servizi pubblici; per realizzare, comunque, profitti ingiusti” e – si legge ancora nel dispositivo – “per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione”. Il Gup ha recepito le istanze dei Pm e ha raccolto le richieste dei difesori, 65 degli imputati hanno scelto di procedere con il processo abbreviato. A questo punto il processo si divide in due tronconi: nelle prossime due udienze il Gup deciderà sul rinvio a giudizio per 15 imputati, mentre si inizierà il dibattimento per gli imputati a cui sarà accolta la richiesta di procedere con il rito alternativo.

I NOMI DEGLI IMPUTATI  – L’esercito degli imputati ha sfilato nel corso dell’udienza preliminare che si è svolta a Bicocca: Salvatore Aiasecca, Alfio Amato (ordinario), Natale Armando Angemi, il collaboratore di giustizia Ignazio Barbagallo, Marco Battaglia, Salvatore Battaglia,  Santo Battaglia (ordinario), Davide Battiato, Alfio Bonnici (ordinario), Giuseppe Bosco, Antonino Botta, Salvatore Calì, Bernardo Salvatore Giuseppe Cammarata (ordinario), Giorgio Cannizzaro, Rosario Cantone, Orazio Carbonaro, Mirko Pompeo Casesa, Elio Catania, Ignazio Cavallaro, Goiseppe Cesarotti (ordinario), Vincenzo Dato, Angelo Di Stefano, Gianfranco Faro, Salvatore Faro (ordinario), Salvatore Fazio, Giuseppe Felice, Francesco Ferrera (ordinario), Francesco Filloramo (ordinario), Natale Ivan Filloramo, Maurizio Fiocco, Salvatore Fiore, Giuseppe Fioretto, Mario Guarrera, Salvatore Indelicato, il collaboratore Santo La Causa, Alessandro Lanzafame, Francesco Leonardi, Gabriele Lo Bianco, Agatino Manara, Salvatore Gerardo Marro, Antonino Meli, Carmelo Messina, Giovanni Messina, Salvatore Miano, Angelo Mirabile, Salvatore Monaco (ordinario), Giampiero Nicotra, Carmelo Nista, Andrea Luca Nizza, Matteo Orlando, il collaboratore Filippo Santo Pappalardo, Lorenzo Pavone, Domenico Francesco Petronio, Francesco Platania, Salvatore Politini (ordinario), Gianluca Presti (ordinario), Stefano Prezzavento, Carmelo Puglisi, Giuseppe Puglisi, Giuseppe Santonocito, Filippo Scalogna, Salvatore Sciacca, Carmelo Tommaso Sciuto, Ettore Scorciapino, Carmelo Scuderi, Giuseppe Seminara (ordinario), Orazio Carmelo Stimoli, Pietro Stimoli, Angelo Testa (ordinario), il collaboratore Salvatore Torrente (ordinario), Antonino Giovanni Tosto, Giuseppe Tringale, Giovanni Tropea, Antonio Fausto Tudisco (ordinario), Santo Tudisco, Gaetano Mario Vinciguerra, Salvatore Zito. (LE FOTO DEGLI ARRESTATI NEL BLITZ)

LE ESTORSIONI – Il potere I Santapaola lo gestirebbero attraverso il racket delle estorsioni. Le indagini della Dda di Catania, diretta dal procuratore Giovanni Salvi, con i titolari dell’inchiesta i sostituti Agata Santonocito e Giuseppe Gennaro, (che abbracciano un arco temporale che si conclude ad aprile 2010) rintracciano esercizi commerciali, vittime, esattori e taglieggiatori e a dare riscontro del lavoro svolto dai Carabinieri di Catania sono anche le dichiarazioni del collaboratore Santo La Causa. Sono state scoperte oltre venti estorsioni: sarebbero state imposte dal 1993 con un giro d’affari tra i 2 mlia e i 6 mila euro annui per ogni esercizio che pagava il pizzo. Introiti che nulla hanno a che vedere con i sei zeri provenienti dallo spaccio di stupefacenti: dalla droga, ancora una volta, infatti proverrebbero – secondo quanto accertato –  i maggiori proventi del Clan. (TUTTE LE ESTORSIONI SCOPERTE)

I VERTICI  – A muovere le fila, e quindi, ad avere un ruolo di vertice negli affari dell’organizzazione secondo la procura sono Salvatore Battaglia, Santo Battaglia, Alfio Bonnici, Antonino Castorina, Angelo Mirabile, Antonino Patane e Sebastiano Patanè. Santo Battaglia, ergastolano, è ritenuto il capo storico del “gruppo” operante al Villaggio Sant’Agata,  e – secondo quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia – non ha mai staccato i legami con la cosca tanto da percepire un mensile di mille e cinquecento euro.

E altissimo il livello che rivestirebbe Giorgio Cannizzaro, arrestato a Roma. Vicinissimo a Santo La Causa, tanto da essere stato individuato dalla Dia come l’uomo che ha “coperto” e aiutato il boss santapaoliano durante la sua latitanza. Cannizzaro è, secondo gli investigatori, la cerniera tra cosa nostra catanese, imprenditoria, massoneria e alti livelli istituzionali. Cannizzaro intesse legami con colletti bianchi che hanno rapporti non solo con la mafia siciliana ma anche la camorra. (LE PAROLE DI GENNARO SUI CONTATTI DI CANNIZZARO)

Intermediario “economico” del Clan sarebbe – secondo gli investigatori  – anche Francesco Ferrera, figlio del boss defunto Natale. Sarebbe stato quel ponte di collegamento con gli imprenditori “corrotti” e “collusi”, ma avrebbe avuto anche il ruolo di ingaggiare i “prestanome” a cui intestare quote societarie per “eludere la legge sulle misure di prevenzione per i sequestri di mafia”.

I FAVORI IN CARCERE Giuseppe Seminara, secondo gli investigatori, avrebbe tradito la divisa che indossa: quella di agente di polizia penitenziaria.  L’assistente capo in servizio nella casa circondariale di “Catania-Bicocca”, nel periodo di riferimento dell’indagine, sarebbe diventato per alcuni affiliati santapaoliani detenuti “fornitore e informatore”. Avrebbe portato cellulari, radio, orologi, addirittura champagne ai sodali dietro le sbarre. Oltre a rendere “più piacevole” il soggiorno in galera agli indagati e imputati, Seminara avrebbe fornito ragguagli e particolari in merito a blitz e operazioni che avevano come protagonisti appartenenti alla famiglia Santapaola.


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