Il sequestro ai Rappa | L'accusa "scova" un testamento - Live Sicilia

Il sequestro ai Rappa | L’accusa “scova” un testamento

Il documento, secondo la Procura, confermerebbe l'ipotesi che le fortune dei Rappa, una delle più note famiglie di imprenditori della città, sarebbero state costruite partendo da un patrimonio accumulato all'ombra della mafia.

MISURE DI PREVENZIONE
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PALERMO – Un testamento, secondo i pubblici ministeri, conferma l’ipotesi accusatoria che le fortune dei Rappa sarebbero state costruite partendo da un patrimonio accumulato all’ombra della mafia.

Nel 2008 Filippo Rappa, che aveva ereditato i beni dal padre Vincenzo (arrestato e condannato), girava i beni “ai mie figli Barbara, Vincenzo, Gabriele, Giulia, in parti uguali”. Il testamento smentirebbe la tesi difensiva, secondo cui le nuove attività sono state finanziate con patrimoni leciti tanto da chiederne il dissequestro. Adesso il documento, rintracciato dagli agenti della Dia, fa parte del fascicolo del processo della sezione Misure di prevenzioni su una delle famiglie imprenditoriali pià conosciute della città.

Il sequestro eseguito nei mesi scorsi riguarda il capostipite ormai deceduto, ma colpisce, a cascata, gli eredi: Filippo Rappa (figlio di Vincenzo), e i nipoti Sergio, Vincenzo, Vincenzo Corrado e Gabriele. I beni dei Rappa valgono 800 milioni di euro. Sotto sequestro sono finiti ville, edifici, terreni, l’emittente televisiva Trm, la concessionaria di pubblicità Pubblimed, le concessionarie di auto “New sport car”, con sede a Isola delle Femmine e Catania, che commercializzano marchi di lusso come Bmw, Mini e Jaguar. Tutte le aziende continuano a lavorare regolarmente in amministrazione giudiziaria. Nel caso della concessionaria, le case madri dei prestigiosi marchi di automobili hanno mantenuto inalterati i contratti.

Rappa senior era stato condannato, con sentenza definitiva, a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Come previsto dalla legge sulle misure di prevenzione gli investigatori hanno esteso le indagini agli eredi.

Secondo le accuse, che ressero al vaglio dei tre gradi giudizio, Vincenzo Rappa era la tipica figura dell’imprenditore in affari con Cosa nostra. Aveva seguito la metamorfosi della stessa organizzazione criminale. Quando si occupava ancora solo di edilizia, era uno dei tanti imprenditori costretti a pagare il pizzo. Poi, quando i boss capirono che con il cemento si potevano fare soldi a palate, ecco che il costruttore nativo di Borgetto, come tanti altri, sarebbe diventato uno dei soggetti con cui fare il salto di qualità.

La mafia voleva farsi imprenditrice. E così Rappa, secondo l’accusa, divenne il punto di rifermento per potenti famiglie mafiose come quelle della Noce (in particolare con il capomafia Raffaele Ganci), di Resuttana e dell’Acquasanta. A mediare i rapporti fu Ciccio Rappa (solo omonimo dell’imprenditore), storico boss di Borgetto. Quindi si aggiunsero pure le dichiarazioni dei pentiti Caloggero Ganci, Giovanni Brusca, Francesco Paolo Anzelmo e Salvatore Cancemi. In primo grado Rappa fu condannato per concorso esterno a otto anni, che divennero quattro in appello. Poi, confermati in Cassazione.

E così si è arrivati al sequestro dei mesi scorsi che include una sfilza di beni, fra cui Impresa Vincenzo Rappa, Villa Heloise costruzioni, Cipedil, Fin Med Spa, Med Group, Radio day, Gei Generali imprese, Benso Costruzioni, Auto Ra.Ma, Telemed, Pubblimed, Crc società cooperativa, Sicilia 7 srl, Simsider, I.R.S.A.L.A.

 


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