Le Zone franche urbane| e l'economia delle panelle - Live Sicilia

Le Zone franche urbane| e l’economia delle panelle

La reindustrializzazione di aree critiche resta una chimera. E la misura, malgrado le buone intenzioni, ha fornito finanziamenti a pioggia anche di importo minimo

Qualcuno arrivò a dichiarare che con lo sblocco delle risorse destinate alle Zone Franche Urbane si sarebbero poste, a sette anni dalla proposta, le basi per tornare a parlare di sviluppo nel Mezzogiorno.

Ne sono state istituite 33 in Campania, Calabria e Sicilia (18 in quest’ultima) con un investimento di circa 330 milioni di euro: 98 per la Campania, 55 per la Calabria e 182 per la Sicilia. Risorse destinate a favorire, attraverso incentivi fiscali e contributivi ( Irpef, Ires, Irap, ex IMU e INPS), gli imprenditori pronti ad investire in aree “difficili”.

Ci si basava, nelle previsioni, sull’esperienza francese dove questo strumento aveva dimostrato di essere una valida opportunità per rilanciare economicamente territori in condizioni di disagio e contrastare attraverso processi di integrazione fenomeni di esclusione sociale. E questo in attesa della banda larga, di soluzioni per la logistica, i trasporti, le infrastrutture.

In sostanza, lo strumento era rivolto ad aree circoscritte ed in condizioni non attrattive per investimenti dato il costo di localizzazione che richiedevano. Ma che appunto sarebbe ammortizzato dagli incentivi creandosi così le premesse per un risanamento urbano a partire dalla presenza di insediamenti produttivi, di presenza nel territorio, di potenzialità occupazionali.

La scelta della ZFU rivelò subito come interessi di natura politica erano prevalsi sugli obiettivi dell’intervento. Aveva senso inserire tra le aree interessate quella di Brancaccio (Palermo), assai meno interi capoluoghi (Messina, Palermo, Trapani, Enna) o grossi comuni come Barcellona, Castelvetrano, Gela e Sciacca. E questo senza una delimitazione coerente ispirata all’individuazione di potenzialità di sviluppo inespresse a causa di disagio sociale, economico ed occupazionale.

Cosa è venuto fuori anche grazie a criteri di ammissione ai finanziamenti non ristretti ad iniziative ad alto interesse di occupazione o con progetti di innovazione?

Intanto una distribuzione a pioggia che va da 80mila euro a 331 euro per domande presentate grazie ad una campagna promozionale i cui costi ancora non risultano conosciuti. Poi un aiuto rivolto in particolare agli esercizi commerciali (ristorazione, in particolare “street food”) tra le quali anche agenzie di pompe funebri. Si è ripetuto un modello già avvistato con un’iniziativa di formazione professionale (poi annullata) che prevedeva contributi per enti ed imprese che avrebbero dovuto formare ed assumere. Letti i progetti ci si accorgeva che le micro-imprese, spacciate come tali, erano talvolta pubbliche (i comuni), altre volte con attività economiche minimali dal punto di vista dello sviluppo.

Ovviamente la nostra è una generalizzazione ed esistono, scorrendo gli elenchi, imprese che potrebbero risultare valorizzate dalle agevolazioni. Quella che invece resta soltanto chimera è la possibilità di una reindustrializzazione robusta di aree critiche.

Come spesso accade nei progetti per l’industrializzazione del Mezzogiorno si nascondono elemento grotteschi. I meno giovani ricorderanno un’iniziativa strombazzata ai quattro venti che si proponeva di trasformare la buccia di ficodindia in tessuto pregiato. Qui la menzione spetta ad una azienda della zona di Palermo Porto che potrà ottenere nella redistribuzione appena 18 centesimi. Significativa l’insegna di un’altra impresa (Dolci Ricordi) di Catania che non dimenticherà mai i 15 euro erogati per il suo rilancio.

 


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