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Povera Sicilia

Nè l'autonomismo di Lombardo, nè la rivoluzione di Crocetta sono riusciti a risollevare le sorti di una Regione che ancora oggi è la più in difficoltà sui temi dell'occupazione, dello sviluppo e dell'istruzione. E nell'Isola non attecchisce nemmeno il Jobs act di Renzi.

PALERMO – Né l’autonomismo di Lombardo, né la rivoluzione di Crocetta. Nessuna ricetta, finora, ha funzionato. Nessuna cura ha sanato il “malato Sicilia”, sulle cui spalle si sentono tutti gli acciacchi lasciati dalle epoche precedenti.

Nessuna cura, nessuna ricetta. L’Isola, oggi, è ai minimi termini. In condizioni di ritardo mai visto rispetto alla altre Regioni. Persino rispetto a quelle del Sud, a smentire, fin dall’inizio, la prima “giustificazione” possibile di governi e amministratori: la crisi. Che c’è per tutti. Ma qui pare non ci sia rimedio.

E la durissima diagnosi, in qualche modo disegnata già, qualche mese fa, in un onesto Documento di programmazione economico e finanziaria redatto dall’assessore all’Economia Baccei, è sostanzialmente confermata dai dati che sono stati presentati dagli stessi dirigenti della Regione in occasione del Comitato di sorveglianza sui fondi strutturali. Stando a quei numeri la Sicilia è ultima in tutto. E la sua condizione, negli ultimi cinque anni, è progressivamente peggiorata. Nonostante le ricette autonomiste, nonostante le rivoluzioni. Nonostante i ribaltoni, i cambi di maggioranza, la tanto sbandierata moralizzazione. In Sicilia, non funziona nulla.

Certamente l’Isola in questi anni non ha migliorato la propria salute economica. La Sicilia è, infatti, la regione italiana più povera: l’indice di povertà regionale calcolato sulla popolazione è oltre il doppio del valore medio italiano. “Pur in aumento nell’ultimo quinquennio, – si legge ad esempio in una delle schede presentate dalla Regione – la popolazione di età compresa tra i 30 e 34 anni in possesso di istruzione terziaria è in proporzione più bassa rispetto alla media italiana ed europea. La proporzione di adulti che partecipa ad attività di apprendimento permanente segnala valori molto bassi, lontani dai valori medi del’UE e in diminuzione tendenziale dal 2009 al 2011”. Alcuni dati, in effetti, si fermano all’anno 2012, quando il nuovo governo si era appena insediato. Ma il trend, stando anche ai dati incrociati con quelli forniti dall’assessorato all’Economia e dal Ministero del Lavoro non è stato invertito.

Anzi, quelle voci che prendono in considerazione anche tutto il 2013, anno interamente coperto dal governo Crocetta, dimostrano come alcuni parametri abbiano continuano a calare in maniera drammatica, preoccupante. E tra questi dati, quelli forse più importanti. Il trend relativo all’occupazione è crollato dal già basso valore del 43,5 per cento del 2009 al 39,3 per cento del 2013 (in Italia il dato è del 55,6 per cento, nei Paesi dell’Ue è del 64 per cento). Preoccupanti in particolare i dati relativi all’occupazione giovanile (15-29 anni) calati dal 23 al 18 per cento nel corso degli ultimi cinque anni. Parallelamente, aumenta il tasso di disoccupazione della popolazione, soprattutto a partire dal 2011 e tra le donne. Anche i livelli di disoccupazione (salita gradualmente dal 21 per cento del 2013 al 23 per cento del primo trimestre 2015) sono più elevati della media italiana (12,6 per cento) ed europea (10,5). Anche in questo caso i numeri relativi ai giovani sono drammatici: si è passati da un livello di disoccupazione pari al 31,9 per cento nel 2009 a quello del 46 per cento in appena cinque anni. I dati riferiti al 2014 confermano la tendenza, registrando nella media delle tre rilevazioni una leggera flessione (- 0,2%) rispetto allo stesso periodo del 2013.

Dovunque ti volti, vedi un’Isola in ritardo. Anche dove non t’aspetti. La Sicilia, ad esempio, tra le Regioni d’Italia, è terz’ultima come “tasso di turisticità” (rapporto tra presenze negli esercizi ricettivi e popolazione residente): quindici volte peggio del Trentino Alto-Adige. E crolla anche l’export. Le cifre recenti, riferite ai primi sei mesi del 2014 fanno segnare una netta flessione (11,8%) legata al calo del valore dei prodotti petroliferi ( – 9,6% ). “Si osserva comunque – riporta sempre il documento di programmazione – una dinamica negativa (- 13,7%) , osservata nei comparti di maggior peso in Sicilia, quali la chimica (- 32,1%), la farmaceutica ( -47%) e l’elettronica (- 11%)”. Nulla cresce nell’Isola. Nonostante gli interventi statali, che però in Sicilia, solo in Sicilia sembrano non attecchire. Come nel caso del Jobs act, che altrove ha, in qualche modo, prodotto una crescita nelle assunzioni e quindi nell’occupazione. Non qui. Non nell’Isola in cui non cresce niente. Anzi, dove scompare persino quel poco che c’è. I nuovi contratti, nonostante il programma nazionale per il lavoro, sono scesi, rispetto al 2014, del 2 per cento. Un dato dovuto, secondo ad esempio l’assessore regionale al Lavoro Caruso, alla debolezza del tessuto imprenditoriale siciliano. Una interpretazione in qualche modo già anticipata dal collega all’Economia, Alessandro Baccei, nel Dpef di cinque mesi fa. “La prospettiva di fuoriuscita dalla recessione delineata nelle analisi nazionali e internazionali svolte dai documenti governativi, – si legge nella più recente versione del documento, reperibile sul sito ufficiale della Regione siciliana – è meno applicabile alla Sicilia, in considerazione del forte cedimento della domanda interna che la regione tuttora manifesta”. Né l’autonomismo, né la rivoluzione. Nessuna ricetta, per la Sicilia. Nemmeno il “renzismo” sembra riuscirci. Una cura, oggi, forse non c’è.


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