Quando la politica bacchettò Caruso | Ma 19 mesi dopo la legge non c'è - Live Sicilia

Quando la politica bacchettò Caruso | Ma 19 mesi dopo la legge non c’è

Il 5 febbraio 2014 la Commissione Antimafia sentì il prefetto a capo dell'Agenzia per i beni confiscati, che aveva denunciato le falle del sistema. La politica lo accusò di delegittimare le istituzioni. E annunciò: "Subito la riforma". Che al momento è ancora in commissione Giustizia. Ma potrebbe arrivare in Aula il mese prossimo.

beni confiscati
di
6 min di lettura

PALERMO – Era il 5 febbraio del 2014 quando il prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, e Maria Rosaria Laganà, dirigente della stessa Agenzia, venivano ascoltati dalla Commissione Antimafia. Una seduta densa di tensione e nervosismo in cui il prefetto, che aveva denunciato a mezzo stampa le storture del sistema, a partire dalla concentrazione degli incarichi e dai risultati spesso disastrosi della gestione dei beni, si ritrovò bersagliato dagli attacchi della commissione e in particolare della presidente Rosy Bindi. La commissione accusò Caruso di delegittimare le istituzioni con le sue dichiarazioni: “Ci interessa il funzionamento del sistema e il punto è uno solo: se queste persone prendevano parcelle d’oro per non far nulla e se gestivano i beni a fini privati, queste sono affermazioni gravi. Se non sono sue, signor prefetto, lei deve fare una smentita ufficiale molto seria e vedersela con il giornale e con i giornalisti”, incalzava la Bindi, che quel giorno, basta leggere il resoconto stenografico della seduta agli atti, fu durissima, quasi sprezzante nei confronti di Caruso.

Noi vogliamo capire se lei per due o tre anni, da quando è in carica, non si è accorto di nulla”, rinfacciò la presidente della commissione a Caruso. E fu quello l’argomento più “pesante” che la politica riservò al prefetto: l’Agenzia aveva perso troppo tempo a rendersi conto di ciò che non andava e a intervenire. Caruso in quella sede respinse l’accusa di aver voluto delegittimare il lavoro della magistratura e obiettò che l’Agenzia non aveva risorse e personale sufficiente per andare appresso alla gigantesca mole di compiti in tempi celeri.

Tempo perso, attaccava la politica. Che da quel giorno, sono trascorsi diciannove mesi, non è stata ancora capace di approvare una nuova normativa sulla materia. Normativa che la stessa commissione Antimafia riteneva un’urgenza. Tanto da predisporre un suo disegno di legge in materia. Disegno di legge che al momento tale resta.

I tempi del disegno di legge

 In Parlamento è stato presentato più di un disegno di legge sul tema. Dall’Antimafia a singoli deputati, i vari progetti di riforma sono confluiti in un unico testo. Che quest’estate la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, Pd, dava ormai in dirittura d’arrivo, pronosticando per ottobre l’arrivo in Aula e per novembre il voto di Montecitorio. “L’auspicio è avere un iter veloce anche al Senato. Tra dicembre 2015 e gennaio 2016 il provvedimento sarà definitivamente varato”, diceva Ferranti. Che a Livesicilia conferma adesso questo timing. “Abbiamo un testo di iniziativa popolare a cui si sono abbinate delle altre proposte e soprattutto quella della commissione antimafia. E c’è anche una parte del disegno governativo sul tema che è confluito come emendamento – spiega Ferranti – . Sono già stati presentati gli emendamenti in commissione. Ora dobbiamo entrare nella fase di voto e dei pareri. E cominceremo giovedì. Vorremmo esaurirlo in commissione a ottobre per farlo arrivare in aula e approvarlo a novembre”. La riforma prevede norme che regolano gli incarichi agli amministratori, con tempi e modalità più stringenti. E più severe sono le norme proposte da un emendamento del governo che mira a evitare il cumulo degli incarichi degli amministratori. “I tempi si sono allungati perché abbiamo atteso la revisione del codice antimafia e la riforma dell’agenzia da parte della Commissione Antimafia. Questa parte è stata abbinata al disegno di legge su cui stavamo lavorando e quindi ho dovuto riaprire i tempi. Ma siamo sul pezzo e certo non si può dire che abbiamo aspettato l’inchiesta di Caltanissetta per agire”.

Libera e gli altri

Relatore della riforma il deputato Davide Mattiello, arrivato in Parlamento dopo essere stato per anni dirigente di Libera, la creatura di Don Ciotti che si occupa dei beni confiscati alla testa di un coordinamento di oltre 1.500 tra associazioni e gruppi, che gestisce 1.400 ettari di terreni e muove un fatturato che nel 2013 ha sfiorato i sei milioni di euro. Quella stessa Libera che a suon di firme spinse negli anni ’90 per ottenere la legge, poi approvata dal Parlamento, che prevedesse l’uso sociale dei beni.

Sugli interventi da attuare ci sono diversi punti di vista. Il senatore Beppe Lumia, ad esempio, già nell’audizione del febbraio 2014 ricordò la sua contrarietà all’affidare all’Agenzia ruoli gestionali che avrebbero richiesto competenze manageriali. Andrea Vecchio di Scelta civica propose uno screenig analogo a quello della certificazione antimafia per i professionisti da scegliere come amministratori.

“L’urgenza” della riforma

Per capire la fisionomia definitiva della riforma bisognerà attendere almeno il voto in commissione, che partirà tra qualche giorno. Quel che è certo è che a oggi, 593 giorni dopo l’audizione di Caruso, l’urgentissimo intervento normativo auspicato dai commissari antimafia non è ancora legge. E meno male che lenti erano quelli dell’Agenzia.

L’Agenzia che si occupa della gestione dei beni confiscati gestisce un patrimonio che vale circa 30 miliardi di euro, siamo nell’ordine di grandezze di una manovra finanziaria, e ha beni sparsi in tutta Italia, di cui il 43% in Sicilia, e di questo più di un terzo soltanto nella provincia di Palermo. “L’Agenzia per i beni confiscati alla mafia dovrà subire interventi”, disse ai giornalisti la Bindi alla fine dell’audizione del 5 febbraio dell’anno scorso. La commissione rilevò ritardi nel sostituire amministratori giudiziari considerati inefficienti e strapagati e nel nominarne di nuovi, lentezze nell’approntare un data base delle procedure, continuando ad appoggiarsi a quello del Demanio e altre incongruenze. Da qui il lavoro sulla riforma, ancora allo studio del Parlamento, con due priorità: rendere più veloce, più tutelante e più efficace il procedimento che conduce dal sequestro alla confisca definitiva e potenziare l’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati in modo tale che questa possa procedere con maggior efficienza alle destinazioni dei beni definitivamente confiscati. Uno dei principali obiettivi è quello di salvaguardare i lavoratori delle aziende che incappano in sequestri e confische.

Aspettando l’albo

Ma quella velocità e l’efficienza di cui l’Agenzia difettava secondo i rilievi della politica, la politica stessa deve ancora dimostrarle. Rimangono i vuoti. Come quello relativo all’albo da cui si dovrebbe attingere per nominare gli amministratori. E che ancora non c’è, in attesa del regolamento governativo. “Ci stupiamo che dopo tre anni queste due cose così fondamentali che abbiamo sempre richiesto, tariffe e albo, non siano state ancora adottate”, lamentò in audizione la Laganà, facendo riferimento anche al caos sulle tariffe. Due giorni fa dopo lo scandalo che ha travolto la sezione Misure di prevenzione di Palermo, il presidente del Tribunale, Salvatore Di Vitale, ha deciso di riempire il vuoto della norma nazionale che un albo lo prevede da anni senza che sia mai stato stilato. Si è decisa così la creazione di un albo di professionisti a uso interno, “cui attingere, con criteri di trasparenza, per l’affidamento di incarichi di amministrazioni di aziende e dei patrimoni sottoposti a sequestro giudiziario”. Aspettando che la politica, pronta a bacchettare i ritardi altrui, si dia una mossa.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI