L'omicidio di Gino Ilardo |Le rivelazioni di Giovanni Brusca - Live Sicilia

L’omicidio di Gino Ilardo |Le rivelazioni di Giovanni Brusca

Il killer di Giovanni Falcone è stato ascoltato come teste nel processo sul delitto dell'infiltrato Luigi Ilardo, ucciso nel 1996. Ancora ombre, misteri e depistaggi dietro l'agguato.

CATANIA – Colui che spinse il tasto del radiocomando collegato al tritolo che uccise Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta, oggi è stato ascoltato come teste nel processo sull’omicidio di Luigi Ilardo. Giovanni Brusca, nel 1996, manda un pizzino a Binnu per comunicargli che i “catanesi” avevano ricevuto dal carcere l’ordine di uccidere il cugino di Giuseppe Madonia. La risposta di Bernardo Provenzano è arrivata quando già Gino Ilardo era stato ammazzato in via Quintino Sella. “Ho dato la notizia non per sudditanza – chiarisce lo storico boss del mandamento di San Giuseppe Jato e braccio destro del famigerato Leoluca Bagarella – ma per educazione e rispetto”. Il ponte con la mafia catanese era Aurelio Quattroluni. E sarebbe stato proprio il santapaoliano a informare Brusca che da dietro le sbarre era stata inviata la direttiva di chiudere la bocca all’esponente della famiglia di Caltanissetta. “Io presi tempo” – racconta il pentito . Tempo che la storia dimostrerà essere stato vano, in quanto qualcun altro si armò per fare fuori l’infiltrato Oriente. Così era chiamato il confidente del Colonnello Michele Riccio.

Giovanni Brusca, in videoconferenza, rivela che dopo l’assassinio Quattroluni gli riferì che ad organizzare l’omicidio era stato un certo Zuccaro, cognato o congiunto con i Santapaola, che aveva problemi di deambulazione. Il pentito però non lo avrebbe mai incontrato personalmente. Il nome di Zuccaro sarebbe stato fatto all’ex boss del mandamento di San Giuseppe Jato anche in merito ad alcune frizioni interne a Cosa nostra catanese. Quattroluni avrebbe accennato a queste tensioni nate dopo l’arresto di Eugenio Galea e Enzo Aiello. Insomma i catanesi avrebbero subito dei contraccolpi a seguito di alcune azioni di polizia giudiziaria. I due arresti, insieme a quello del latitante Salvatore Fragapane, fanno scattare la reazione di Cosa nostra palermitana. “Abbiamo ammazzato Antonino De Caro – rivela Brusca – poi dopo l’omicidio abbiamo compreso che a parlare era stato Gino Ilardo”.

Ma i sospetti che il cugino di Piddu Madonia fosse un confidente era già arrivata alle orecchie di Giovanni Brusca. Tanto da essere argomento di un vertice che si è svolto in un villino nella zona di Partinico: alla famiglia di Mussomeli non convincevano certi comportamenti di Gino Ilardo, in particolare l’uso di un telefonino. A quel punto Brusca avrebbe chiesto a Francesco La Rocca, capomafia di Caltagirone e Aurelio Quattroluni, referente a Catania per i palermitani, di “guardarlo a vista”. Ma non è finita, Ilardo avrebbe “invaso e si sarebbe intromesso negli affari dei Santapaola nel territorio catanese”. “Viveva di espedienti” – racconta Brusca, addirittura avrebbe usurpato il ruolo di responsabile provinciale di Caltanissetta a Vaccaro. Quello stesso Vaccaro – afferma il collaboratore – che poi è stato ammazzato a Catania alcuni anni dopo. E inoltre girava voce che sarebbe stato Ilardo a “impossessarsi delle estorsioni” delle Acciaierie Megara: un ammanco di cui era stato interessato personalmente Giovanni Brusca. Ma alla fine – racconta il collaboratore di giustizia – si era preso l’incarico di risolvere “il problema” direttamente il capomafia Binnu. Sulla “messa a posto” dell’impresa catanese ci sarebbe anche un pizzino sequestrato a Provenzano.

Il caso delle Acciaierie Megara, dunque, era arrivato fino ai vertici della piramide della Cupola. Una notizia diffusa negli ambienti mafiosi, secondo la ricostruzione dell’accusa, per “depistare” sulle reali ragioni che si nascondevano dietro l’omicidio di Luigi Ilardo, l’uomo che avrebbe portato i Ros a due passi dal covo di Bernardo Provenzano e che stava per diventare collaboratore di giustizia. Per l’accusa l’ordine sarebbe partito dallo stesso parente del confidente: Piddu Madonia dal carcere avrebbe “ordinato” l’omicidio. Il capomafia di Caltanissetta è uno degli imputati del processo che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise di Catania, insieme ai tre personaggi di spicco di Cosa nostra catanese, Enzo Santapaola, (figlio di Salvatore), Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano.

Brusca è arrestato dopo quattro anni di latitanza il 20 maggio del 1996, pochi giorni dopo l’agguato di via Quintino Sella a Catania. In quell’operazione le forze dell’ordine sequestrano diversi pizzini e anche dei gioielli. Misteriosamente uno dei manoscritti di mafia e anche i preziosi hanno un collegamento con l’omicidio di Gino Ilardo. In uno dei fogliettini compare il “cugino di Pillo”. Brusca – rispondendo alle domande del pm Pasquale Pacifico spiega che si intendeva il “cugino di Piddu Madonia”, cioè Gino Ilardo. Altri non era che il pizzino ricevuto da Bernardo Provenzano come risposta alle sue domande circa l’ordine di ucciderlo. Il capomafia avrebbe esternato stupore a quel progetto di sangue – almeno questa l’interpretazione offerta dal collaboratore di giustizia. Una ricostruzione che collima con quanto si legge nei verbali del pentito Antonino Giuffrè. Il fidato di Toto Riina svela infatti che “Provenzano” sapeva che Ilardo faceva la “spia” ma che questo doveva rimanere una “sorta di segreto tra le persone più vicine”. Una “vicinanza” confermata in udienza oggi dallo stesso Giovanni Brusca che ammette: “I rapporti tra Giuffrè e Provenzano erano certamente più stretti di quelli che aveva con me”.

Un capitolo a parte meritano anche i gioielli sequestrati al killer di Giovanni Falcone. Quei preziosi sarebbero stati riconosciuti dalla moglie di Gino Ilardo come quelli che gli erano stati rubati a casa qualche mese prima dell’assassinio del marito. Il teste non ha mai saputo nulla di quel furto a casa di Gino, ma “uno degli orologi – racconta – mi è stato regalato da Eugenio Galea, del clan Santapaola”. Un corridoio di nuove ombre attorno al delitto.

Un omicidio quello di Ilardo che avrebbe subito “una sorta di accelerazione” – così come l’ha definita il Gip Marina Rizza nell’ordinanza di custodia cautelare. Un’urgenza confermata da Giovanni Brusca: “Nell’attesa della risposta di Provenzano ho avuto pressioni e sollecitazioni per l’uccisione”. Una strategia dell’attesa che mai ci sarebbe stata se l’ex capomafia avesse avuto la certezza che Ilardo aveva contatti con uomini dello Stato. “Se avessi saputo che aveva anche un rapporto con un vigile urbano lo avrei ammazzato o avrei dato il consenso ad ucciderlo”. E se fosse stato fuori Bagarella “avrebbe anticipato tutto e tutti” – commenta ancora il collaboratore di Giustizia. Una frase che sancisce ancora una volta che dopo l’arresto del “capo dei capi” Toto Riina Cosa Nostra si era spaccata in due correnti di pensiero. Quello stragista portato avanti da Bagarella e Brusca, e quello della “mediazione” di Bernardo Provenzano.

 

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