Concorso esterno, Lipera: |"E' una mostruosità" - Live Sicilia

Concorso esterno, Lipera: |”E’ una mostruosità”

L'avvocato Giuseppe Lipera interviene nel dibattito che si è acceso dopo la sentenza di proscioglimento nei confronti dell'editore Mario Ciancio. Il penalista, inoltre, risponde al giurista Salvo Aleo, intervistato suLiveSicilia.

Lettera in redazione
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CATANIA – Un soggetto può essere condannato perché accusato di concorso esterno in associazione mafiosa?  La sentenza del GUP di Catania, dott.ssa Bernabò Distefano, emessa nei confronti di Mario Ciancio, è degna di elogio o merita le più aspre censure?

Sono questi i due pesanti interrogativi che in questi giorni attanagliano il mondo del diritto. Credo esista solo un posto dove poter trovare la giusta risposta, e questo non può che essere il nostro codice penale.

Non è necessario addentrarsi negli oscuri labirinti di quest’ultimo (esperienza che auguro a pochi), ma è già sufficiente soffermarsi all’art. 1, il quale testualmente recita “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, nè con pene che non siano da essa stabilite”.

Ebbene, come noto ai più, il concorso esterno non è previsto dalla legge come reato ed è chiaro come esso rappresenti un’ipotesi delittuosa non rinvenibile nel nostro codice.

Il concorso esterno, volendo richiamare le parole utilizzate dal già Magistrato Pietro Tony nel libro “Io non posso tacere”, può essere rettamente definito come una creatura giurisprudenziale e non legislativa dove l’elusione dei principi di legalità e tassatività è massima.

Accordare la natura di “reato” al concorso esterno significa espandere in maniera pericolosa la già ampia discrezionalità del Giudice, poiché sarà soltanto quest’ultimo, senz’alcun appiglio normativo, a decidere quale condotta è punibile e quale no.

Francamente non ritengo ci sia necessità che la giurisprudenza si attribuisca un potere che la Costituzione non le affida affatto, atteso che non vi è alcuna lacuna lasciata dal legislatore; non dimentichiamo, difatti, come tutte le attività “secondarie” ricollegabili alla mafia, diverse da quelle “principali” di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione, sono già punite da precise norme del codice penale.

In particolare, l’art. 418 prevede il reato di assistenza agli associati mentre l’art. 378, comma II, prevede il reato di favoreggiamento agli associati mafiosi; vi è poi l’art. 7 D. L. 13/5/1991 n. 152 che prevede una specifica aggravante per chi commette reati (previsti quindi tassativamente e sempre dal codice) al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose.

Ora, se non rientra nell’ipotesi di cui al 416 bis e non rientra neppure nelle varie ipotesi “secondarie” degli articoli appena citati, è chiaro come il concorso esterno si ponga come unico e pericoloso obiettivo, quello di sanzionare penalmente condotte di per sé lecite, suscettibili forse esclusivamente di un rimprovero etico.

Per questa ragione il concorso esterno non può che definirsi una mostruosità, una pericolosissima arma in mano dei Giudici, pronta ad essere utilizzata per colpire chiunque e per qualunque cosa.

Un soggetto ben sa, o dovrebbe sapere, che chiunque uccide un uomo verrà processato per omicidio; sa che chiunque ruba verrà processato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio; sa che chiunque violenta una donna sarà processato per violenza sessuale; nessuno, dicasi nessuno, però sa che cosa non deve fare per non essere processato per concorso esterno in associazione mafiosa!

Chi ha osato dire che è errato affermare che il concorso esterno in associazione mafiosa sia frutto di un’elaborazione giurisprudenziale, perché già previsto nei codici napoleonico, sardo e Zanardelli, ha pronunciato una vera e propria assurdità, anzi una bestemmia giuridica.

Un’ipotesi delittuosa non può essere frutto di un’invenzione o di una corrente di filosofia giuridica, ma esclusivamente il risultato di una combinazione armoniosa tra le norme del codice e non un pensiero euforico (si pensi a quel magistrato che, disconoscendo tale equilibrio, è arrivato a contestare sinanco il tentato omicidio colposo).

Altresì, dobbiamo ricordare come il 416 bis c.p., che alcuni giuristi (avallati dalla giurisprudenza) ritengono di poter combinare con l’art. 110, sia figlio del più “anziano” art. 416 c.p., il quale prevede il reato di associazione per delinquere. Si badi bene, però, come nel testo del 416, articolo che non è stato coniato su onde emotive o emergenziali, è espressamente previsto che il fine dell’associazione deve essere quello di “commettere delitti”.

Or, è pressoché implicito che tale “finalità” debba comunque essere ricondotta anche all’associazione di tipo mafiosa, in quanto non si può punire colui il quale “è mafioso”, ma bisogna punire chi “fa il mafioso”, e cioè colui che compie i noti crimini di “mafia”.

Ritornando agli interrogativi iniziali, credo che l’ormai celebre sentenza “Ciancio” non sia assolutamente da criticare anzi: essa è una perla rara e come tale andrebbe difesa con assoluta convinzione, per cui non si possono condividere gli attacchi gratuiti provenienti da alcuni soloni universitari che, tra l’altro, soltanto di rado usano varcare le soglie di un’aula di Giustizia.

Il coraggio mostrato dal Giudice Gaetana Bernabò Distefano merita esclusivamente plauso, il più assoluto rispetto e convinta ammirazione; deve essere, difatti, da esempio per tutti l’operato di un Magistrato che, andando contro certa Giurisprudenza e certa pseudo dottrina, è riuscito a scrivere in sentenza ciò che molti sanno, ma che pochi hanno l’audacia di dire e sottoscrivere: il concorso esterno è un reato che non c’è nel codice!

L’augurio quindi è che questa sentenza possa aprire finalmente e definitivamente un varco, che faccia finalmente comprendere come il potere di legiferare spetti esclusivamente al legislatore.

Avv. Giuseppe Lipera

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