Peculato e truffa in ospedale| Medico e assistenti condannati - Live Sicilia

Peculato e truffa in ospedale| Medico e assistenti condannati

L'ospedale Cervello di Palermo

Sotto processo tre dipendenti dell'azienda sanitaria Villa Sofia-Cervello.

PALERMO-LA SENTENZA
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PALERMO – Un medico e due assistenti condannati per peculato e truffa. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Cesare Vincenti. Sotto processo erano finiti Giuseppe Arcoleo, dirigente medico del reparto di Pneumologia I dell’ospedale Cervello, Carmela Tavilla e Concetta Conte. Arcoleo è stato condannato in abbreviato a due anni e quattro mesi. Alla Conte e alla Tavilla sono stati inflitti, rispettivamente, un anno e otto mesi e un anno e sei mesi di carcere.

Arcoleo e la Conte furono colti in flagranza di reato dai finanzieri nel luglio 2014. La Tavilla finì sotto inchiesta successivamente. Si sarebbero appropriati di somme di denaro spettanti all’ospedale palermitano. Il medico – secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Leonardo Agueci e del sostituto Luca Battinieri – era autorizzato ad esercitare l’attività intramoenia. Ci sono degli obblighi da rispettare, tra cui il divieto di non riscuotere direttamente il compenso dai pazienti. I soldi devono essere versati all’azienda che poi liquida una parte, circa la metà, ai medici.

Ed invece le indagini dei finanzieri avrebbero fatto emergere “l’esistenza di un canale alternativo a quello ospedaliero”. Una sorta di ‘centro di prenotazione’ parallelo. I pazienti che non passavano dal canale ufficiale avrebbero risparmiato sul prezzo delle visite: 70 euro contro i 140 dei costi ufficiali.

Quando i finanzieri del Gruppo di Palermo fecero irruzione in ospedale dissero di avere trovato Arcoleo e la Conte intenti a dividersi l’incasso della giornata, circa 400 euro. L’inchiesta era partita due mesi prima, con alcune segnalazioni al 117.

I primi a sorprendersi furono i colleghi e i pazienti di Arcoleo, descritto da tutti come un medico sempre pronto ad aiutare gli altri, disponibile con tutti, che vive la professione come una missione, attento anche al lato umano dei pazienti. Quando finì ai domiciliari, la moglie scrisse una lettera aperta, non solo per prendere le difese del marito, ma anche per raccontare la sua vita al servizio di chi soffre.

 


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