CATANIA – Ha voluto vederci chiaro. Capire, comprendere, vivere e condividere le esperienze dei detenuti. Salvatore Aleo, professore ordinario di diritto penale, scatta una fotografia del sistema carcerario italiano. E’ un’immagine amara quella che si percepisce parlando con il penalista. Aleo non vuole scatenare polemiche ma solo raccontare quanto ha assorbito sulla pelle trascorrendo sei mesi all’interno degli istituti penitenziari di Piazza Lanza e Bicocca. “Senza registratore, solo con un block notes e la penna” – spiega.
Confessioni, testimonianze, sfoghi, alibi. La penna ha impresso sulla carta le vicende umane “di detenuti, educatori, sanitari, responsabili delle strutture e agenti della polizia penitenziaria”. Questo viaggio “dietro le sbarre” Salvatore Aleo lo ha documentato nel libro “Dal carcere. Autoriflessione sulla pena” che sarà presentato venerdì prossimo nell’Aula magna del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania. “Grazie a un’ampia autorizzazione concessami dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – spiega Aleo – ho avuto l’opportunità di conoscere a fondo questa realtà. Nel libro ho tentato di ribaltare la prospettiva che si trova comunemente nei manuali di diritto penale: gli aspetti relativi all’esecuzione della pena, infatti, sono generalmente considerati marginali dagli operatori del diritto, siano essi avvocati o magistrati. Il carcere diventa quasi un’appendice, quando invece la cultura penalista dovrebbe partire proprio dal carcere” – ribadisce con forza.
Il libro alza il sipario su un mondo che molti vorrebbero tenere nascosto, quasi non esistesse. E’ più facile girarsi dall’altra parte e non guardare. Invece è arrivato il momento di affrontare (seriamente) il tema del sistema carcerario. “Sono partito dal carcere per svolgere un ragionamento più generale sulla pena, sulla responsabilità stessa e sulla risposta che diamo al crimine perché penso che ci sia moltissimo da rivedere. Il modello va completamente ripensato. Il carcere è una enorme orribile semplificazione di tutto quello che non riusciamo a risolvere socialmente” – aggiunge il penalista.
Così come è organizzato il carcere “è solo una scorciatoia – afferma l’autore – che non porta a nulla: basta vedere i numeri sulla recidiva dei criminali”. Senza contare poi quanto grava un detenuto sul bilancio dello Stato. Un peso economico che a quanto pare – dati alla mano – non ha centrato l’obiettivo cardine del sistema carcerario italiano: rieducazione e reinserimento sociale e lavorativo del detenuto.