Le vite perse nel buio di Ballarò | "Ma qui lottiamo per la speranza" - Live Sicilia

Le vite perse nel buio di Ballarò | “Ma qui lottiamo per la speranza”

Il viaggio nelle chiese di Palermo. Chi è don Enzo Volpe, il salesiano tutto dolcezza e trincea.

PALERMO- Chiamiamola Hope. E ricostruiamo la biografia di una ragazza ingannata, venduta e prostituita. “Sono tutte così queste storie, è difficile seminare un sorriso nella devastazione che propongono. Alle volte, ci riusciamo”, dice don Enzo Volpe, salesiano, direttore di Santa Chiara, laggiù, tra Ballarò e l’Albergheria.

Hope, sbarcata in Sicilia perché le avevano promesso lavoro e futuro, dalla Nigeria. Ingannata, violentata, messa in strada a battere, massacrata di botte. Un giorno cerca di scappare. La sua ‘Maman’ – la donna che ne detiene il corpo e l’anima con i ceppi della paura – si finge comprensiva: “Vieni qua, per l’ultima carezza”. Ma tra le dita della mano che solca la guancia c’è una lametta acuminata. Un taglio squarcia il viso di Hope, dall’orecchio alla bocca.

Lei è terrorizzata. Si chiude in casa, non esce più. Don Enzo tesse le reti della solidarietà, chiede un favore a un suo amico, un chirurgo plastico, che ricuce tessuti e speranze, evitando un’infezione letale. Hope denuncia i suoi carnefici e finalmente vola via, libera. Oggi vive e lavora da un’altra parte, come badante. Ha cominciato un faticoso cammino verso la felicità. Certe esistenze perdute si ritrovano, per miracolo, per l’intervento di qualcuno che scende all’inferno e se ne prende cura.

Don Vincenzo – pastore di trincea e di gentilezza – sfoggia il fisico di un corazziere a stento contenuto dall’abito talare. Tappe di rilievo. La vocazione, un duro praticantato a Catania, tra i vicoli di San Cristoforo, i viaggi nei luoghi del dolore e della miseria, dal 2012, l’arrivo a Santa Chiara.

“Abbiamo l’asilo – spiega don Volpe – il doposcuola, le attività dell’oratorio. C’è tanta ricchezza, a dispetto della povertà materiale. Diamo assistenza a cinquanta famiglie. Ci sono bambini che potrebbero intraprendere qualsiasi carriera, se solo ne avessero l’opportunità. Siamo radicati in un quartiere popolato soprattutto da migranti di varie etnie: ivoriani, nigeriani, tunisini, ragazzi del Bangladesh, del Ghana, dello Sri Lanka, capoverdiani, senegalesi. La coesistenza è buona, anche con i palermitani”.

Ed è buona pure la reazione nata dalla semina di generosità. Gli aneddoti non mancano. E’ diventata famosa una infermiera di Belfast che – leggendo di Santa Chiara – ha inviato un tir (in senso proprio, non figurato) carico di doni e generi di prima necessità, grazie a un tam tam sui social. Poi, certo, ci sono lo spaccio, i maneggi poco limpidi, lo sporco impossibile che nessun detersivo spirituale laverà mai del tutto. La ricetta del prete-corazziere è diretta: “Chiedo un sussulto di dignità a chi vive qui. La violenza, la sopraffazione, l’intimidazione e l’arroganza, tipici di un sistema mafioso, vanno denunciati”.

Due volte alla settimana, don Enzo e i suoi volontari – moltissimi sono universitari – percorrono i sentieri dei corpi in vendita, tra la Favorita e il mare. Agiscono per la riduzione dello scempio, dando consigli, prestando assistenza medica, dividendo abbracci caldi e necessari come il pane. “Alcune delle ragazze che incontriamo – dice don Enzo – sono sicuramente minorenni. Tante si sono spostate negli appartamenti che rappresentano la sede elettiva del sesso mercenario nell’era dell’online. Registriamo troppa indifferenza davanti a una tragedia immane. Bisognerebbe cominciare una seria educazione alla civiltà: nessuno può comprare un essere umano”.

Tra Ballarò e l’Albergheria, tra le macerie e i muri scrostati di una Palermo rasa al suolo e mai più ricostruita, anni fa, si raccontarono altre storie atroci, di crocifissione della purezza. Gli agnelli da sacrificare erano i bambini, inghiottiti da un maledetto giro di pedofilia e abusi. Furono due sacerdoti, Baldassare Meli e Roberto Dominici, ad alzarsi in piedi contro il male, a bollare le prime denunce che portarono alla condanna degli orchi. Vennero picchiati, moralmente seviziati, vilipesi. Infine, a don Meli toccò l’esilio, il trasferimento per scadenza del mandato, nonostante la proroga richiesta.

Ora, il pifferaio cortese – quello che conduce le anime dei piccoli nel percorso inverso, dal buio di una spelonca alla luce – è don Volpe che, correttamente, dice e non dice, perché la fragilità ha bisogno di prudenza. “Coloro che si resero responsabili dell’orrore – ecco la cauta premessa – sono usciti dal carcere, avendo scontato la pena. Le vittime sono cresciute, qualcuno è andato via, altri no. Questo, almeno, mi risulta. Qualche segnale inquietante, sì, mi è arrivato”.

Analogo allarme lanciò, mentre era parroco, don Meli: “Nell’Albergheria girano liberamente alcuni dei pedofili condannati sia in primo che in secondo grado, con il rischio di grossi traumi per i bambini che hanno subito le violenze sessuali”.

Eppure – ad ammirarlo nel chiarore del primo pomeriggio – il quartiere si mostra rifiorito. Miniature di Messi e Cristiano Ronaldo giocano a pallone. I volontari li seguono, protettivi, con lo sguardo. Le case diroccate non somigliano più alla grotta dei sogni straziati. Si narrano esempi di guarigione, con l’immancabile lieto fine.

Come la favola una ragazza, venduta e schiava, che ha ricucito la sua vita tagliuzzata a sangue. Chiamiamola Hope. Speranza.

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