Messina Denaro, "quello dell'olio"| I 'pizzinari' e il boss latitante - Live Sicilia

Messina Denaro, “quello dell’olio”| I ‘pizzinari’ e il boss latitante

Matteo Messina Denaro

Nel blitz di Trapani emerge la figura del padrino di Castelvetrano.

PALERMO – Le ultime tracce di Matteo Messina Denaro affiorano dalle parole di un rampollo di mafia. “Quello di l’ogghiu (quello dell’olio)”, diceva Epifanio Agate, figlio del capomafia Mariano, riferendosi al latitante. Parlare con il padrino di Castelvetrano “direttamente è impossibile”, aggiungeva Agate jr finito ora in carcere con l’accusa di intestazione fittizia ed estorsione. Il riferimento era all’ultima rete di pizzinari scoperta dagli investigatori e cioè quella che faceva capo all’anziano boss di Mazara del Vallio, Vito Gondola.

Secondo i pm di Palermo e i poliziotti della Squadra mobile di Trapani, Agate sarebbe il dominus delle società My Land e Fishmar finite sotto sequestro. Di lui aveva già parlato nel 1996 il pentito Vincenzo Sinacori, e negli anni Novanta fu condannato per favoreggiamento aggravato. Tra le sue note personali c’è anche il fatto di essere stato battezzato da Leonardo Bonafede, boss di Campobello di Mazara.

Negli anni successivi Epifanio Agate si sarebbe guadagnato il rispetto di tanti mafiosi che contano. E così quando fu necessario dare il via libera agli accordi commerciali con un imprenditore di Salemi per rifornirsi alla Calcestruzzi Mazara, Gucciardi avrebbe chiesto il permesso a Epifanio Agate, nonostante l’impresa gli fosse stata sequestra.

Dalle intercettazioni delle conversazioni con il padre durante i colloqui in carcere venne fuori il ruolo di Epifanio Agate negli affari della droga. Ed arrivò una seconda condanna a quattro anni di carcere. Ed è in quel contesto che emersero i rapporti fra Agate jr e alcuni pezzi grossi della mafia trapanese. Pezzi grossi che alla morte di Mariano Agate, deceduto nel 2013, non persero l’occasione per manifestare il loro dolore ai parenti. Per Vito Gondola Agate senior era più di un fratello. Tra di loro c’era un rapporto “a stringi sangue” e si rammaricava di non avere ancora potuto fare le condoglianze al figlio. “…. non ho avuto… il piacere… di vederlo… no che devo fare le condoglianze a lui… ce li dobbiamo fare tutti e due le condoglianze… perché a lui gli è morto il padre… ed a me è morto l’amico… che eravamo meglio di fratelli”.

Secondo l’accusa, Epifanio Agate non solo sarebbe stato il dominus occulto della My Land, ma avrebbe imposto “con violenza e minaccia” la sua linea ai soci Francesco Mangiaracina e la moglie Natalya Ostashko”. Come? Minacciandoli che li avrebbe “fatti a pezzi”. Epifanio Agate diceva di essere il garante dell’incolumità dei suo soci che potevano “camminare, lavorare e vivere tranquilli” a Mazara del Vallo. Grazie a lui sarebbero stato perdonato a Mangiaracina il peccato originale di essere cognato del pentito Sinacori. Lo stesso Sinacori che per primo lo aveva tirato in ballo.

 


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