Seminavano il terrore nei Nebrodi |Croci e scritte con sangue di maiale - Live Sicilia

Seminavano il terrore nei Nebrodi |Croci e scritte con sangue di maiale

Il Gip ha disposto la custodia in carcere per tutti e nove i fermati. TUTTI I NOMI 

CATANIA – Allevatori terrorizzati. Nelle campagne dei Nebrodi si respira aria di timore. Si vive nella paura di un danneggiamento, un furto, un agguato, un raid punitivo. Un clima che fa piombare la Sicilia in un altro tempo; ma tra i territori di Bronte, Cesarò e Maniace la mafia rurale la fa ancora da padrone. L’azione della giustizia però è arrivata efficace e in poco tempo l’organizzazione che faceva direttamente riferimento alla cupola dei Santapaola è stata azzerata con un decreto di fermo. Ai vertici il boss riconosciuto di Bronte Turi Catania, che è finito in manette martedì insieme a altre otto persone. I Gip di Catania, Caltagirone e Ragusa hanno riconosciuto l’impianto probatorio portato dalla Dda, dai Carabinieri di Messina e del Ros ed hanno emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Roberto Calanni, Salvatore Catania, detto Turi, Giuseppe Corsaro, Giordano Antonino Galati, Giordano Luigi Galati, Salvo Germanà, Cristo Carmelo Lupica, Giovanni Pruiti, e Carmelo Giacucco Triscari. I nove sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa e tentata estorsione.

“Si arriva ai fermi perché c’era un pericolo imminente per alcune vittime dell’organizzazione”, spiega il Procuratore Carmelo Zuccaro in conferenza stampa. Il clan che opera nel Parco dei Nebrodi avrebbe cercato di aggirare il Protocollo Antoci che permette solo alle aziende libere da infiltrazioni con il crimine organizzato e (quindi non destinatari di interdittive antimafia) di poter accedere ai contributi dell’Unione Europea destinati all’agricoltura. Avevano messo l’occhio su un terreno di oltre 120 ettari confinante con i propri campi (precisamente di Giovanni Pruiti) e avevano con la forza dell’intimidazione mafiosa cercato di farlo cedere a un prezzo non sicuramente di mercato. Essendo proprietà private avrebbero potuto “bypassare” le regole imposte dal protocollo voluto fortemente dal presidente Antoci, rimasto illeso lo scorso anno a un agguato a San Fratello, in provincia di Messina. Il prezzo pattuito si aggirava sui 440 mila euro e già le vittime avevano perfezionato il versamento di una caparra di 200 mila euro con altri acquirenti. Che avrebbero quindi perso. Un sistema che avrebbe portato un doppio guadagno a medio e lungo termine per la cosca. All’anno è stato calcolato un profitto di 50 mila euro.

L’aggressione dell’allevatore è avvenuta al centro di Cesarò. La promessa era che se non avesse ceduto alle richieste del clan, magari lui sarebbe rimasto vivo ma non sarebbe stato così per gli altri. Violenza inaudita contro l’imprenditore che ha rischiato di perdere anche un orecchio, che sarebbe stato preso a “morsi”. A quel punto i carabinieri non possono stare a guardare e in piena sinergia con la Direzione Distrettuale di Catania decidono di colpire e azzerare il gruppo criminale.

L’inchiesta si compone di due pilastri: le indagini dei carabinieri di Santo Stefano di Camastra e quella dei Ros partita dalle attività di Kronos che hanno delineato la caratura criminale e l’importanza che riveste Salvatore Catania nello scacchiere del clan Santapaola. “Una figura indispensabile per affrontare la dialettica tra i vertici” – afferma il capitano del Ros Luca Latino. Il nome del boss di Bronte viene fuori anche dal quel famoso summit del 28 agosto del 2015 dove si decide il nuovo capo di Cosa nostra.

Feroce e inaudito il modus operandi di Giovanni Pruiti e i suoi picciotti. Per intimidire hanno anche ucciso dei maiali e con il sangue hanno vergato croci, iniziali delle vittime e scritte inequivocabilmente minacciose. I mazzi di fiori (che emergono anche nelle intercettazioni) lasciati in diversi luoghi è un altro chiaro segno di minaccia, anche della propria incolumità. Ma non è finita perché sono stati compiuti veri e propri agguati: due imprenditori sono stati bloccati in macchina nelle campagne dei Nebrodi e sono stati picchiati a sangue, con calci e pugni da quattro del gruppo criminale.

Allevatori terrorizzati, dicevamo, che non hanno trovato la forza di denunciare e raccontare. “Il nodo dolente di questa operazione è l’omertà con cui abbiamo dovuto confrontarci”, spiega Zuccaro. Nemmeno davanti all’evidenza dei fatti. Hanno raccontato quanto è accaduto ma hanno smentito di essere vittime di estorsione. Una dimostrazione che in questo territorio ci sia “una cappa che pesa sulla libertà delle persone che noi dobbiamo spezzare”, promette il Procuratore di Catania.


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