Donne e antimafia |Laudani si racconta - Live Sicilia

Donne e antimafia |Laudani si racconta

Sono tante, tantissime le donne che decidono di spezzare il velo omertoso in terra siciliana.

LA TESTIMONIANZA
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CATANIA – Il ruolo delle donne siciliane nel movimento antimafia. E’ questo il tema affrontato nel corso del secondo incontro del laboratorio organizzato dall’Ateneo catanese su “donne e mafia”. Nella narrazione del fenomeno mafioso non ci sono soltanto le figure femminili che salgono i gradini dei vertici dei clan. Sono tante, tantissime le donne che decidono di spezzare il velo omertoso in terra siciliana. Una di queste è l’avvocata Adriana Laudani, protagonista dell’incontro e rappresentante di spicco del movimento delle donne che hanno inciso e lasciato un segno nella lotta frontale al potere mafioso. Una storia che Laudani ripercorre davanti agli studenti e che inizia all’indomani del 1968: il legame tra gli studenti e le donne, la passione politica con il partito comunista, le  lotte con le compagne dell’Udi, l’esperienza al parlamento siciliano e i rapporti intensi con politici e magistrati di primo piano.

Molti di questi saranno ricordati più tardi come “delitti eccellenti” dopo essere caduti per mano mafiosa come il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, e il presidente della Regione, Pier Santi Mattarella. Laudani racconta gli anni difficili che vedono la criminalità organizzata accumulare capitali e fare sistema facendo terra bruciata di oppositori di ogni sorta: politici, magistrati, poliziotti e giornalisti.  “Pio La Torre ci diceva sempre di non parlare di mafia, ma di un sistema politico affaristico mafioso”, spiega. “Un network criminale la cui forza deriva dalla capacità di attrarre pezzi di poteri diversi che possono avere singolarmente anche obiettivi diversi ma convergenti”, argomenta Laudani.  “Ciascuna delle componenti acquisisce un potere che da solo non potrebbe avere: gli imprenditori ricevono denaro fresco senza passare dalle banche ma in cambio devono fare delle cose come le assunzioni di persone che poi risultano in cantiere mentre invece sono impegnate altrove a spacciare o a sparare, ad esempio. La politica ci guadagna in termini di consenso, ma poi deve restituire alla mafia pezzi di opere pubbliche, appalti e pezzi di piani regolatore”. Un sistema che si stabilizza quando “aumentano i proventi derivanti dal traffico di droga” e i “soldi vanno investiti perché servono a moltiplicare potere da esercitare sulla società e sull’economia”.

Insomma, la mafia fa “un salto di qualità nei rapporti con l’economia siciliana (come i cavalieri del lavoro catanesi) e con la politica”. Negli anni 80 tra omicidi eccellenti e omertà diffusa il clima in Sicilia è rovente. Ma qualcosa inizia a smuovere “il ventre molle” della società. Nasce il primo Movimento delle donne contro la mafia che muove i primi passi in modo determinato. Laudani ripercorre quei giorni di impegno che portano a il lancio di una petizione popolare indirizzata al Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Donne diverse per età e classe sociale, legate anche a partiti con storie diverse che spaziano dal Pci al mondo cattolico decidono di metterci la faccia e lanciano la sfida al sistema mafioso. “Fu una battaglia etica e politica, ma mai ideologica”, puntualizza l’avvocata. Il corpo delle donne diventa strumento di resistenza nelle piazze, nelle scuole e perfino nelle aule di tribunale. Infatti, nel 1982 nella Palermo che celebra il processo Spatola-Inzerillo le donne per la prima volta si costituiscono parte civile. Una novità dirompente in una terra in cui nei processi di mafia anche gli avvocati per paura evitavano di difendere le parti civili. Un fatto importante che Giovanni Falcone a colloquio con il giudice Rocco Chinnici e Adriana Laudani commenta così: “Soltanto le donne potevano pensare una cosa straordinaria come questa”.

 

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