"La signora in un lago di sangue" | Romanzo criminale in via Restivo - Live Sicilia

“La signora in un lago di sangue” | Romanzo criminale in via Restivo

Palermo, il reportage. Una donna ridotta in fin di vita. E una domanda: perché tanto orrore?

La violenza
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PALERMO – Il corpo era davanti alla porta dell’ascensore. Hanno risalito le scale, in fretta, col cuore in gola. La signora anziana era riversa nel suo sangue. Giusy, che vigila in portineria, si è chinata su tanta devastazione, col volto rigato di lacrime. Un sussurro di domanda: “Chi è stato?”. Un sussurro di risposta: “I muratori”.

In quel palazzo di via Empedocle Restivo, all’ultimo piano, c’è un terrazzo che i ragazzini utilizzavano – e chissà se accade ancora – come mini-campo di calcio tra le nuvole. L’unica controindicazione era la leggerezza del Super Santos, la sua scarsa opposizione al vento. Se finiva di sotto, non lo recuperavi.
A rivederlo, senza tenere conto dello scirocco della memoria, si materializza un palazzone normale. Gli ascensori salgono e scendono su corde sicure. Le luci si accendono, quando premi un interruttore. I quadri propongono la banalità del già visto: riflettono paesaggi insulsi che non turbano. Tutto procede secondo l’alto e il basso di un quieto respiro feriale.

Eppure, qui sono state trascritte, nel pomeriggio di domenica sette maggio, le pagine di un piccolo e crudele romanzo criminale. E l’aggettivo ‘piccolo’ descrive soltanto l’occhiata distratta dei lettori di giornali, abituati al rimbalzo di ben altre tragedie, non la gravità del fatto in sé. Una donna di 83 anni è stata selvaggiamente percossa, tagliuzzata, presa a calci e pugni, abbandonata nei suoi rantoli. I suoi carnefici hanno responsabilità diverse, secondo accusa e cronaca, nell’identico calco di violenza.

Eccoli. Domenico Federico, muratore di Belmonte Mezzagno, ventidue anni. Un minorenne. Una ventenne, Veronica Rizzo. Sono loro i protagonisti, sullo sfondo del romanzo criminale, nella ricostruzione delle indagini. Federico era stato nell’appartamento dell’anziana per dei lavori di ristrutturazione. Lei l’aveva incolpato di un furto nel corso di un colloquio chiarificatore, minacciando – pare – la denuncia. Lui si era presentato con la sua ragazza e con un amico. Dopo la discussione, l’aggressione.

La signora Pietra ha raccontato quegli attimi interminabili: “Ha stretto il foulard che avevo al collo per strozzarmi. Sono riuscita a liberarmi. L’ho visto acchiappare le forbici sul tavolo del soggiorno. Mi sono detta: ‘È finita’”. I potenziali assassini sono fuggiti. Pietra è riuscita a strisciare via, a chiamare aiuto.

Resta da individuare la postilla del piccolo romanzo criminale, la pagina che chiarisce. Perché è accaduto? Quali sentimenti hanno acceso e  alimentato il fuoco della cattiveria? Perché un ragazzo che non ha mai fatto del male a nessuno può tentare di uccidere la fragile luminosità nel sorriso di una creatura indifesa? Perché si rovina? Ecco il tassello che manca. Si rende necessario il ritorno sul luogo del delitto per cercarlo. E’ una mattina di colori pastello, il sole splende sui tetti.

“Non me lo so spiegare – dice la signora Giusy, l’anima salda della portineria, colei che è accorsa tra i primi, con i poliziotti -. Domenico sembrava tanto buono. Un faticatore. Lavorava spesso da noi. Magari lo rimproveravo: ‘Domè, hai pulito tutto?’. E lui cortese, ossequioso: ‘Sì, certo, ma ora ripasso’”. Giusy si copre la bocca con le mani: “E’ stato mio figlio a chiamarmi. Stava dando da mangiare ai gatti: ‘Mamma, presto, corri’. C’era già la polizia. Tutto quel sangue. Mio Dio, tutto quel sangue… ‘Signora, come sta? Signora, chi è stato?’. Mi ha risposto con un filo di voce: ‘Sono stati i muratori’”.

Sfilano alcuni condomini. Osservano con curiosità l’emozione a stento trattenuta di Giusy. Vasi sui balconi. Gerani e piante grasse compongono la sintesi di ciò che appare inviolabile, protetto, nell’intimità domestica. Gli ascensori vanno e vengono. I quadri non si muovono. Ma è un’illusione. In via Empedocle Restivo l’hanno imparato a caro prezzo. Chiunque può entrare nel perimetro di una vita e strapparla, o, almeno, provarci.

“Non dimenticheremo mai l’accaduto – continua l’affettuosa custode della portineria -. Siamo sconvolti. Io abitavo qua da bambina, con mia madre. Ora, sto nel palazzo vicino – e lo indica – però do sempre un’occhiata, anche di notte, a quello che succede. Cerco di proteggere tutti”. Pietra è stata trasportata in ospedale. L’hanno medicata a dovere, a Villa Sofia, ricucendo quei tagli profondi. Il suo spirito resterà ferito e non verrà rammendato. Non esistono i punti di sutura adatti. “Sono andata a trovarla – racconta Giusy -. Non la riconoscevo, mi hanno dovuto dire chi era. Mia figlia era con me, è quasi svenuta per il dispiacere”.

Nelle pagine del piccolo romanzo criminale, sbucano, di colpo, i profili degli aggressori. Nulla si sa del minorenne. Domenico e Veronica trapelano sui social con la loro giovinezza. Sogni di plastica. Baci. Promesse d’amore. Frasi sull’amore. Silenzi intorno all’amore. Un selfie collettivo. E come una noncuranza, sottotraccia, chissà se incardinata dalla suggestione. Come se tutto – l’amore, il sangue, gli abbracci, le forbici – fosse lo specchio di una diretta facebook che conta per i like che raccoglie, non per quello che c’è dentro. Come se il problema fosse l’inquadratura della perdita, di un compiuto e inesorabile smarrirsi.

Veronica ha ammesso: davanti al giudice “E’ vero ho dato un calcio in pancia alla signora, l’ho fatto perché ho temuto per la vita del mio fidanzato”. Domenico ha chiesto perdono alla sua vittima con una lettera dal carcere Pagliarelli: “Zia, sono venuto a sapere che si è ripresa. Sono addolorato, perché tutto ciò non doveva succedere. Quel giorno non ero in me. Io a lei l’ho sempre rispettata e sempre la rispetterò. È giusto che paghi per il mio errore. La saluto con rispetto e stima e spero che tutto si risolverà nel migliore dei modi. Le chiedo nuovamente perdono”.

Perché è stato scritto il piccolo e crudele romanzo criminale? C’è la domanda, non la risposta. E nessuno dormirà più sonni tranquilli, tra i gerani e il terrazzo, lì dove i ragazzini di una volta giocavano a pallone  in mezzo alle nuvole. 


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