"Marcello, non smetto di cercarti" | Un figlio, una madre, la speranza - Live Sicilia

“Marcello, non smetto di cercarti” | Un figlio, una madre, la speranza

Marcello Volpe

"Tuo figlio è qui". Il viaggio con il cuore in gola. La delusione. E adesso una mamma racconta.

PALERMO – Il canto della madre si è sollevato dalla polvere, per inseguire l’ultima speranza, con il suo profumo, anche se nascondeva l’odore amaro di un’illusione. “Mi hanno telefonato: ‘hanno rintracciato tuo figlio in Spagna’. E io mi sono sentita subito spaccare in due. Volevo crederci, con tutta me stessa, ma sapevo che il rischio della beffa era altissimo”.

Eppure, anche adesso che racconta, la voce della madre incede su una dolcezza incrollabile. Laura Zarcone, mamma di Marcello Volpe, scomparso da Palermo sei anni fa, proprio in questi giorni, non mostra cedimenti. Perché la madre e la sua voce, la madre e il suo canto che non smette di chiamare, sono pazienti e invincibili. Sempre fenderanno il buio. Mai si rassegneranno. E crederanno, in ogni momento, che il ragazzo che era un bambino tornerà a casa, aprirà la porta e si accomoderà in salotto, come se non se ne fosse mai andato via.

La notizia si era diffusa una settimana fa, comparendo sulle testate online e in un lancio di agenzia: “Scomparso nel 2011 a Palermo, ritrovato dopo sei anni in Spagna. Sembra arrivata la parola fine alle ricerche di Marcello Volpe, svanito nel nulla quando aveva vent’anni, in via Aloisio Juvara. La polizia spagnola lo ha trovato a Torrejón de Ardoz, città a 20 chilometri da Madrid”.

“Si può immaginare il turbamento – dice Laura -. Quante segnalazioni abbiamo ricevuto che erano solo buchi nell’acqua. Ma devi scommetterci, non puoi lasciare niente di intentato. Siamo partiti per la Spagna, così come era accaduto dopo una segnalazione in Francia e un’altra a Forlì. Una volta arrivati a destinazione, me ne sono resa conto, all’istante quel ragazzo non era mio figlio, non era il mio Marcello”. Una madre lo sa. Però, Laura ha tentato lo stesso, per quella forza disperata che si associa all’impotenza dell’amore più grande. “Ho tirato fuori dalla borsa una foto di famiglia. Ho indicato: ‘sei tu? Sei il mio Marcello? Ti riconosci?’. Lui aveva lo sguardo triste e disorientato. Ha scosso la testa per dire no e mi ha abbracciato”.

Sono stati anni lunghi e difficili. Scriverlo è facile, viverli è stato un eroismo del quotidiano, un basso profilo delle mutilazioni, una riservatezza che non ha mai rinunciato al sogno incessante del ricongiungimento. “Marcello era un tipo preciso – racconta Laura – se prometteva: torno tra un’ora, non ritardava nemmeno di un minuto. Per questo, quel giorno, vedendo che non spuntava, ci siamo allarmati e abbiamo presentato la denuncia”. Un calvario. Il telefonino spento. Il telefonino che si riaccende dalle parti dell’Arenella. La polizia che si precipita con l’ardore di chi ha capito quello strazio. Un cane poliziotto dal fiuto infallibile che piomba sul porticciolo, abbia, freme e corre verso il mare. Più nulla. Nessuna ricerca ha dato l’esito migliore.
Si dice che l’esperienza più tragica sia la morte dei figli. Ma peggio, forse, è vederli dissolversi, da un minuto all’altro, restare appesi all’impossibile, non potere avviare il percorso del distacco.

Laura, suo marito e l’altro figlio sono persone forti. Hanno dato esempio di dignità e coraggio. Infatti, perfino una legittima protesta diventa sommessa quando potrebbe urlare: “Paghiamo tutto noi. Non c’è un fondo di solidarietà che ci aiuti nelle ricerche e non c’è nemmeno un’assenza riconosciuta e garantita. Non esiste neanche un corpo di polizia, in Italia, che si dedichi solo alle persone scomparse e ad ogni segnalazione ci troviamo ad affrontare iter burocratici lunghi, che alimentano la nostra amarezza. Per volare in Spagna è stato necessario prendere le ferie. Ma non smetteremo, non smetterò”.

E una madre ricorda ogni dettaglio, ogni segno particolare sul volto e sulla pelle del figlio. Una piccola cicatrice, la posizione dei nei, potrebbero essere fondamentali per riconoscere colui che sparì. E c’è la paura più grande: quella di dimenticare la sua faccia. “A casa – racconta Laura Zarcone – abbiamo foto di Marcello in ogni stanza, per renderlo presente, per la voglia che abbiamo di lui. Io penso che ha caldo d’estate, freddo d’inverno e non ci sono io, non gli sono accanto. Da poco ha compiuto ventisei anni. Per me mio figlio è ancora vivo. Lo cercherò fino al mio ultimo respiro”.

Una settimana fa sembrava che le preghiere avessero trovato la strada della grazia. Laura ha lasciato tutto e ha inseguito un sogno. E’ arrivata dove doveva arrivare. Un’occhiata: “Non sei mio figlio”. Il ragazzo ignoto ha capito, ha risposto a quella donna sconosciuta in un italiano smozzicato, ma chiaro: “Mamma, io spero che tu lo trovi”. E si sono stretti forte, giungendo ognuno dalla propria strada, dalla propria solitudine. E sono rimasti un po’ così, l’uno poggiato sul cuore dell’altro.

 

 

 

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