Quel mio fratello disabile | Com'era tremendo e figo - Live Sicilia

Quel mio fratello disabile | Com’era tremendo e figo

“Appena vedi papà, digli, da parte mia, cambiale pagata, missione compiuta".

Manovra a Tinaglia
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Qualche giorno fa, a 66 anni (4 più di me), è morto mio fratello. Si chiamava Maurizio. Era un disabile. Cominciò a stare male quando aveva 5 anni. Poi, col tempo, e con inarrestabile progressione, la malattia gli devastò completamente il cervello. Sorvolo sui termini medici. Era praticamente pazzo. Devo riconoscere che, almeno alla fine, è stato un gran signore. Se ne è andato in punta di piedi ed anche velocemente. Non mi ha costretto, per l’ennesima volta, alle penosità di ambulanze, triage, ricoveri, notti in ospedale e via dicendo.

Del resto, si era già masticato buona parte della mia esistenza. Non per sua colpa naturalmente. Diciamo che è stata la mia cambiale. Qualcuno l’ha sottoscritta a mio nome quando arrivai al mondo e mi ritrovai questo “regalino” di mamma e papà. E’ un regalino riservato a tutti i figli sani che hanno fratelli disabili. Siamo il “dopo di noi”dei genitori. Non per tirarmela, ma gli studiosi ci chiamano “Siblings”. Sibling in inglese vuol dire fratello. Gli esperti che ci studiano, invece, hanno tenuto conto pure alle sorelle. Ecco, i siblings sono fratelli e sorelle di persone con disabilità. Anche sul piano linguistico, siamo la punta più avanzata della parità di genere, e del politically correct. Una vera figata.

L’altro giorno, quando mi hanno chiamato dalla comunità in cui viveva ormai da una decina di anni per dirmi che era morto, sono rimasto impietrito dalla sorpresa. Avevo desiderato così tante volte che morisse, che ormai mi ero pure rassegnato. Mi limitavo a chiedergli, di tanto in tanto, quali fossero i suoi programmi, si, insomma, quanto avesse ancora intenzione di campare. “Giusto per organizzarmi l’esistenza” chiosavo. Lui rideva. Non era del tutto rincretinito. Capiva bene quale era il senso della domanda e sapeva che, finché gliela facevo, era segno che avrei continuato a prendermi cura di lui.

Questo è il mestiere dei siblings. Gli studiosi dicono che siamo una vera e propria fucina di sentimenti contrastanti. Sensi di colpa, amore, odio, rabbia. In effetti è vero. Io più volte ho sentito di odiarlo. Soprattutto perché lui mi adorava. Dico sul serio. Non esagero. Ero il suo mito irraggiungibile. Ero tutto quello che lui non aveva potuto essere, ed avevo avuto dalla vita tutto quello che a lui era stato negato. La cosa mi faceva sentire in colpa, e reagivo odiandolo. La cosa strana è che scaricavo il mio odio occupandomi amorevolmente di lui, sia pure bestemmiando come un turco. Volendo, avrei anche potuto fottermene. E’ che poi mi sarei sentito in colpa. I sensi di colpa sono micidiali. Insomma, un bel casino.

Comunque, sono un sibling atipico. Non ho mai pensato che mio fratello fosse un dono”, una risorsa per me. E quand’anche fosse vero che prendersi cura di un disabile ti migliora, beh, ne avrei fatto volentieri a meno. Maurizio era un maledetto, fottutissimo problema. Non sono un’anima bella e non ne ho mai fatto mistero.​ Rido. Erano tutti piuttosto imbarazzati quando hanno saputo della sua morte. Farmi le classiche condoglianze era dura. E allora ricorrevano a “Enniù, che ti posso dire?” Ma io non sapevo affatto cosa potevano dirmi. Neppure ora lo so. Ho solo una gran confusione.

Sono stato molto tempo con lui. Anche durante le esequie, intendo. Ho passato in rassegna tutta la mia vita. Mi sono ricordato delle notti in ospedale ad imboccarlo e pulirlo, del mio continuo correre a destra e a manca per mettere una pezza ai guai che combinava, delle battaglie per riuscire a trovare una sistemazione decente per lui che aveva conosciuto lo squallore del manicomio.

Prima di avviarci al cimitero, al momento dell’ultimo saluto, gli ho sussurrato: “appena vedi papà, digli, da parte mia, cambiale pagata, missione compiuta. Mi è toccato consolare il personale e gli altri ospiti della comunità. I soli, veri, autentici amici che ha avuto. Piangevano. Maurizio era davvero un personaggio. Teneva concione con le sue stranezze, le sue intemperanze. Lascerà un vuoto incolmabile. Tutti i cacacazzi, quando se ne vanno, lasciano un vuoto incolmabile.

Ho rovistato nel cassetto dove lui teneva le sue cianfrusaglie. Un sacco di telefonini non funzionanti. Nessun problema, per lui. Tanto, parlava lo stesso con i suoi fantomatici interlocutori. Bancomat, carte di credito, libretti di assegni. Tutto, naturalmente, fasullo. Fotocopie di banconote in quantità industriale. Erano il suo tesoro.. Lo andavo a trovare ogni settimana. “Maurizio -gli dicevo – avresti 100 milioni da prestarmi?”. “Apri il cassetto e prendili” rispondeva. Naturalmente se era in sì. Se invece aveva l’embolo mi diceva: “fatteli dare da quella sucaminchia di Patty”. Mia moglie. Quando 40 anni fa la conobbi, le dissi subito che il pacchetto comprendeva anche Maurizio, il gioiello di famiglia. Le donne non resistono al fascino dei gioielli. Non se lo fece dire due volte.

Ho trovato pure una sua fotografia. Non so bene quanti anni avesse ai tempi. Credo 25-30. Nel massimo vigore della sua pazzia. Sapeste che performances. Che devo dire? Io sarò pure stato il suo mito, e l’orgoglio di mamma e papà perché ero il figlio sano. Ma lui, lui che era pazzo, era davvero il figo della famiglia!

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