Dall'Apocalisse ai nostri giorni | Il film di Cosa nostra - Live Sicilia

Dall’Apocalisse ai nostri giorni | Il film di Cosa nostra

Resuttana e San Lorenzo: viaggio nei mandamenti colpiti dalla maxi sentenza.

PALERMO – Niente filtri, la mafia si raccontava da sé. Attraverso le voci registrate dalle microspie e le immagini delle telecamere piazzate dai carabinieri fra Resuttana e San Lorenzo.

Tre anni di appostamenti, pedinamenti e cuffie alle orecchie. Nel 2014 il film di Cosa nostra lo “girarono” i carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo, assieme ai poliziotti della Squadra mobile e ai finanzieri della Polizia. In manette finirono cento persone, tre quarti delle quali sono state condannate in appello.

IL VIDEO

Due mandamenti decimati, allora come oggi. I blitz, infatti, si sono ripetuti negli anni successivi. Gli ultimi a finire in carcere in ordine di tempo sono stati Giulio Caporrimo e Giuseppe Biondino. Il primo, che nel 2011 convocò a Villa Pensabene il più grande summit di mafia a Villa Pensabene, è tornato in carcere per finire di scontare una vecchia condanna a cui non si è aggiunta quella per estorsione – è stato assolto – che ha rischiato di prendere al processo Apocalisse. Biondino è stato arrestato a fine gennaio scorso. Era atteso da tempo il ritorno al potere del figlio di Salvatore, capo storico del mandamento di San Lorenzo e uomo di fiducia di Totò Riina. Un contribuito decisivo è arrivato dalle dichiarazioni di Sergio Macaluso che ha raccontato i retroscena della sua nomina a capo mafia in un appartamento di via Lancia di Brolo. Biondino prendeva il posto di Giovanni Niosi che gli consegnò lo scettro del potere in una zona che ha dovuto fare in conti con l’incessante lavoro di magistrati e forze dell’ordine.

Nel 2014 venne fuori l’ennesimo spaccato di una mafia che seminava il panico fra i commercianti, resisteva alle ondate di arresti, recluta nuovi picciotti è, al contempo, era una mafia che arrancava. Serpeggiavano malumori e contrasti che Girolamo Biondino aveva provato a risolvere, serrando i ranghi. A giudicare dalla capacità invasiva di imporre il pizzo c’era pure riuscito, ma è sempre più complicato governare le nuove leve.

Sandro Diele, considerato il capofamiglia di Pallavicino-Zen, lo ammetteva discutendo con Francesco D’Alessandro, uomo forte a San Lorenzo e braccio destro di Biondino: “… pazienza ci vuole, ormai quello che succede non la possono chiamare più associazione mafiosa… delinquenza… delinquenza…. ma dov’è sta questa associazione mafiosa”.

Gente sempre meno affidabile popola l’esercito di Cosa nostra. Giuseppe Bonura sapeva bene quanto faticoso fosse diventato il mestiere del mafioso: “No, perché certe volte è meglio una giornata di muratore che una di queste qua. Minchia vai a discutere questa cosa… è giusto … è sbagliato… è un Tribunale in nero…”.

Ed era sempre Bonura ad ammettere di vivere una sensazione di disorientamento: “… cioè io non capisco questa leva e metti… ci mette a quello… io prima mi ricordo che per battezzare un picciutteddu ci voleva… la chiesa… la chiesa… no a me quello che non mi piace è questo leva e metti… prima c’era uno che durava vent’anni… ora c’è da una settimana all’altra… a che c’è Totò… a che c’è Gasparino… io sono un uccello che vola… stancavo le ali… dove mi devo appoggiare… dopo 46 anni ho paura”.

Eppure, nonostante tutto, la mafia fra Resuttana e San Lorenzo continuava a dettare legge con la forza. E con il piombo. Come quello sparato contro la casa del pentito Raimondo Gagliano che aveva osato rientrare allo Zen dopo avere fatto arrestare la gente del suo stesso quartiere. Come il piombo dei proiettili conficcati dentro la testa di agnello lasciata nel cantiere del commerciante riottoso.

 


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