Chitarra, spiaggia e Super Santos | A Mondello Miss Italia mi baciò - Live Sicilia

Chitarra, spiaggia e Super Santos | A Mondello Miss Italia mi baciò

Certi incontri possono avvenire solo in certi luoghi magici.

Garofalo all'occhiello
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5 min di lettura

Se mi si dovesse chiedere cosa sia per me Mondello, non avrei molti dubbi, risponderei: un laboratorio di chimica, uno di quegli ambienti misteriosi e imprevedibili nei quali si realizzano magie straordinarie, lo scenario ideale per qualunque alchimia.

Mi accorsi di questo che ero molto, molto piccolo; un bambino in spiaggia in compagnia di giovanissime amicizie tra cabine allineate su irregolari avvallamenti di sabbia. Erano gli anni in cui a Mondello si andava sulle linee 14 e 15 dell’Amat, gli arenili erano la riproduzione in versione estiva degli atri cittadini di condominio, tutti uguali ma tutti ugualmente, inspiegabilmente, diversi ed unici, che occasionalmente si trasformavano in splendidi scenari teatrali per sceneggiate a braccio.

La compostezza e l’eleganza, comunque, erano caratteri piuttosto predominanti; i quaranta-cinquantenni di allora andavano a passo lento e studiato, pancetta d’ordinanza, occhiali scuri e sigaretta con bocchino snob, di superiorità, a prendere “qualcosa da Fumetta”; le quaranta-cinquantenni, non abdicando ad alcuna minaccia di degrado incombente, cominciavano già le loro guerre spietate con la linea. Erano avanguardisti di una popolazione ancora adesso in auge. Una sola radio, in epoca di radio locali: il Centro Radio, che più locale non si può. Era quasi sempre di domenica quando, a intervalli regolari, tra un tormentone ed una serie di spot pubblicitari ancora più tormentosi, si declamava il ritrovamento di “una bambina con trecce bionde e costumino rosso a fiorellini, che dice di chiamarsi Sofia”, mentre sullo sfondo si sentiva il pianto angosciante della piccola.

Un sabato mattina di un’epoca in bianco e nero, due ragazze tamburellavano un incessante tac – toc – tac – toc, parte integrante della colonna sonora della Mondello di ogni era. Una delle due mi sembrò bellissima, statuaria, indescrivibile. Mi emozionava molto la sua avvenenza; quando se ne accorse mi chiese se potessi farle da raccatta-palle. Non mi parve vero; mi stava rilasciando il passaporto per un più lungo adorante osservare, il tagliando dell’ammiratore autorizzato. E un paio d’ore passarono così, nella venerazione e nella solerzia. Al termine mi gratificò con un bacino che mi stordì, che neanche mezzo litro di whisky.

Qualche giorno dopo fu mio padre che, con un sorriso incredulo, distogliendo gli occhi dalla TV mi disse. “Ti ricordi di quella ragazza che giocava a tamburelli, … le hai fatto da raccatta-palle…, ti ricordi?” Lo guardai un po’ imbarazzato, senza parlare, avendo bene in mente ancora quell’amore-bonsai; poi aggiunse, ridendo “…è diventata Miss Italia!” Fu lì che compresi un paio di cosette. Primo: ci avevo preso, la mia scelta non era stata bizzarra, avevo scoperto il talento giusto, quello suo, da futura attrice, e quello mio, che non ebbe seguito, da talent-scout in erba. Secondo (ma rafforzai il concetto molti anni dopo): quando una donna gioca e ti coinvolge, se rimani intrappolato dalla sua bellezza non puoi che stare al gioco, fino a quando è lei a decidere di smettere, liquidandoti stordito, che neanche sei litri di whisky.

Ma era anche successa un’altra cosa: una primordiale reazione chimica si era compiuta, un idrogeno, io, aveva incontrato un ossigeno, la donna, dando origine all’acqua, primo elemento della vita. L’esperimento si riprodusse alcuni anni dopo, quando con un po’ di peluria al mento già arringavo la giovane fauna dell’arenile con la mia chitarra. Voci spiegate verso i diversi azzurri di cielo e di mare, accovacciati sui legni delle pedane antistanti le cabine, tra sole, ombra e sabbia soffiata dal vento sulla pelle, come minuscole punture di spillo. E le ragazze che fingevano canore disinvolture, mentre, in realtà, studiavano mosse e strategie di conquista da scacchiste consumate.

La reazione chimica si arricchiva: idrogeno, più ossigeno, più chitarra. Poi, in quantità variabile, palloni Super Santos dagli inverosimili e irrazionali volteggi aerei ai colpi più forti; carte da gioco per improbabili giochi di società che si chiamavano “porco”, “ti vitti”, “avvelenata”; sedioline minuscole, che miracolosamente reggevano corpi di grasse mamme sfidando la logica delle leggi fisiche. E le ragazze, ossigeno per me che ero idrogeno.

Com’era fatale, fu una di loro che intersecò il suo con il mio destino da liceale, precettando le mie schitarrate e inibendomi eventuali velleità di incursioni da caccia negli altri arenili. Cosa non si fa per sentimento; un giorno che ero mezzo influenzato la raggiunsi coprendo a nuoto la distanza tra Valdesi e il paese, andata e ritorno, per tre o quattro volte, così, per eludere le sue​ guardie del corpo e, a sorpresa, farmi vedere sbucare dal mare, e l’indomani avevo 39 di febbre. Idrogeno, ossigeno, chitarra, Super Santos, carte da gioco, sedioline-per-mamme-grasse, nuoto estremo.

Quando poi le strategie delle scacchiste si elaboravano, complicandosi e rendendosi inestricabili, si poteva coltivare la certezza – a me successe così – di avere in mano una formula pericolosa. Idrogeno, ossigeno, chitarre silenziose, Super Santos sgonfi, carte da gioco sporche d’olio di pane e panelle, sospetti, tradimenti, e gelosie: la formula della dinamite. Era il passare veloce delle nuvole in un cielo dove le nuvole non c’erano mai, perché non erano previste; la brezza leggera che increspava di freddo la pelle anche se c’era l’afa; il MI cantino spezzato della mia chitarra, la corda più brillante e sottile. La formula si completava ancora: idrogeno, ossigeno, e un pizzico di acidità, senza bicarbonato.

Ma era già la spiaggia di settembre, il giorno dopo che avevano smontato le cabine; il cielo era grigio. Da allora il cielo del primo giorno senza cabine è sempre grigio, guarda bene, è grigio! Neanche i venditori di coccobello, birra ghiacciata, coca! Neanche il gracchiare del Centro Radio, che le bambine sono tutte a casa con i genitori, e non piangono più. Può restare il ricordo di quel MI cantino spezzato, per una stupida gelosia; ma il gioco era finito, e l’aveva deciso lei, lasciandomi suonato, che neanche una cassetta intera di whisky.

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