I fondi europei e la Sicilia | Storia di un grande spreco - Live Sicilia

I fondi europei e la Sicilia | Storia di un grande spreco

Si rischia il disimpegno delle somme non impiegate, che attualmente ammontano a circa 4,47 miliardi.

DIRITTI E DOVERI
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In una fase di grave contrazione delle risorse pubbliche i fondi strutturali europei costituiscono la quasi totalità degli investimenti in Sicilia, destinati ad obiettivi fondamentali come rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione, l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo, della pesca e dell’acquacoltura, la prevenzione e la gestione dei rischi ambientali e l’uso efficiente delle risorse naturali, incentivare sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le carenze nelle principali infrastrutture di rete; promuovere l’occupazione e la mobilità dei lavoratori, l’inclusione sociale e combattere la povertà; investire nelle competenze, nell’istruzione e nell’apprendimento permanente, promuovere un’amministrazione pubblica efficiente.

Paesi come Malta e la Spagna, attraverso l’efficiente utilizzo dei fondi europei, hanno realizzato infrastrutture didattiche, stradali, marittime e ferroviarie, investimenti tesi a consolidare il legame tra il mondo accademico e l’industria, strutture per il settore del turismo e restauro di siti storici di alto valore turistico, finanziato incentivi alla produzione di energia pulita e pratiche di efficienza energetica volte a ridurre l’impatto di elettricità e i consumi, interventi per ridurre la quantità di rifiuti e deviare i residui verso gli impianti di riciclaggio.

In Italia ed in Sicilia, invece, la Corte dei conti ha rilevato che la spesa di queste risorse “è in allarmante ritardo” e si rischia il disimpegno da parte delle istituzioni comunitarie delle somme non impiegate, che attualmente ammontano a circa 4,47 miliardi.

Al di là delle percentuali di spesa l’utilizzo dei fondi comunitari in questi anni si è caratterizzato per numerose infrazioni, irregolarità, frodi e per il diffuso ricorso a vari espedienti che hanno creato spesa virtuale senza garantirne l’effettività e l’efficienza: dalla candidatura di progetti di importo eccedente la dotazione finanziaria per garantire la sostituzione di quelli eventualmente bocciati, al riutilizzo di progetti originariamente finanziati da altri fondi (cd progetti sponda o retrospettivi).

Spesso, inoltre, le ingenti risorse comunitarie, anziché essere destinate agli investimenti finalizzati a colmare il gap infrastrutturale e a sostenere lo sviluppo territoriale siciliano creando opportunità di sviluppo e di creazione di reddito consolidato e sostenibile, sono state dirottate verso il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica oppure adoperate come ammortizzatore sociale in grado di produrre reddito congiunturale. Tanto che alla fine del quarto ciclo di programmazione comunitaria la Sicilia è penultima per Pil pro capite, dopo la Calabria, e una delle ultime in Europa per percentuali di occupati.

La Corte dei conti, inoltre, ha rilevato che la spesa è stata in gran parte destinata a soddisfare esigenze contingenti con una distribuzione estremamente frammentata (quasi a ‘pioggia’) delle risorse che, “salvo poche eccezioni di avvisi e bandi destinati ad offrire opportunità di crescita al tessuto imprenditoriale della Regione”, hanno finanziato investimenti disordinati, nessuna grande opera, pochi interventi sul welfare e sui diritti sociali che hanno creato poco lavoro, povero e precario, e si sono per lo più rivelate particolarmente inefficaci in relazione al contesto economico siciliano caratterizzato da ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende, bassa capitalizzazione, difficoltà di accesso al credito, scarsa adattabilità alle mutabili dinamiche del mercato.

Ciò, peraltro, contribuisce ad incrementare il gap della Sicilia rispetto al resto del Paese dato che, paradossalmente, le regioni più virtuose nella gestione dei fondi europei sono generalmente quelle più sviluppate che meno avrebbero bisogno delle politiche di coesione».

Le cause delle difficoltà di impiego dei fondi strutturali sono piuttosto note: la frammentazione dei programmi in una rilevante quantità di obiettivi tematici, linee di intervento, azioni affidati ad una struttura organizzativa complessa composta da nuclei di valutazione, tavoli tecnici, responsabili per obiettivo tematico, dirigenti di servizio afferenti, responsabili di azioni e sotto-azioni, autorità di coordinamento, audit e certificazione distribuiti in diversi enti, assessorati e dipartimenti; la scarsa integrazione tra strutture burocratiche, nonché tra obiettivi e azioni operative; la moltiplicazione delle procedure e degli oneri amministrativi, la scarsa qualità di molti progetti, più legati a logiche opportunistiche di acquisizione di fondi che alla qualità delle azioni, l’inefficacia dei controlli sul rispetto dei tempi e dei requisiti prescritti, norme contabili complesse ed articolate, stringenti vincoli finanziari, una disciplina degli appalti e dei contratti pubblici tra le più complesse in Europa, che richiede dai cinque ai sei anni per il completamento di opere infrastrutturali, anche di valore inferiore ai 5 milioni di euro, la difficile congiuntura economica, la fragilità organizzativa e finanziaria degli enti locali, le frequenti modifiche nell’assetto organizzativo delle strutture regionali coinvolte nell’esecuzione dei programmi e l’affidamento dell’attività istruttoria di ammissione al finanziamento agli organismi intermedi, soggetti esterni alla Regione, che secondo la Corte dei conti “determina alti costi non sempre giustificati dalla qualità delle prestazioni rese”.

Il patto per lo sviluppo del 2016 ed il recente protocollo stipulato con lo Stato prevedono la messa a sistema delle risorse ordinarie ed aggiuntive, nazionali ed europee per la realizzazione di infrastrutture ed interventi negli ambiti dell’ ambiente, dello sviluppo economico, turismo e cultura, sicurezza, legalità e vivibilità del territorio, nonché la collaborazione del governo centrale nella sorveglianza del rispetto dei tempi e della rispondenza delle opere a quanto previsto.

Ma per risolvere le criticità che rendono inefficiente l’utilizzo dei fondi europei non si può prescindere da interventi strutturali sull’intera “filiera”, dalla programmazione all’organizzazione della burocrazia, dall’attività amministrativa all’assetto e all’efficacia dei controlli: bisogna concentrare la programmazione prevalentemente su grandi interventi strategici articolati in obiettivi e risultati ben identificati e misurabili; potenziare le strutture regionali che si occupano di fondi europei, migliorare la qualità della valutazione d’impatto delle politiche pubbliche e dei programmi operativi; razionalizzare la struttura amministrativa ed apprestare efficaci forme di coordinamento tra gli apparati burocratici, eliminare adempimenti e controlli inefficaci, garantire la corretta applicazione degli strumenti di semplificazione e delle norme sulla valutazione delle performance, integrare meglio le politiche ordinarie con quelle sostenute dai fondi strutturali, prevedere forme di assistenza ai soggetti coinvolti nella elaborazione dei progetti.


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