Di Maio e Salvini, che coppia! | Ma siamo ormai alla farsa - Live Sicilia

Di Maio e Salvini, che coppia! | Ma siamo ormai alla farsa

Promesse irrealizzabili. E loro lo sanno.

Semaforo russo
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4 min di lettura

Il nostro sa essere un Paese davvero bizzarro a volte. Nelle concitate settimane della formazione del governo Di Maio/Salvini abbiamo assistito al fuoco incrociato nei confronti dell’attuale ministro agli Affari Europei Paolo Savona. Immaginarlo seduto all’Economia, come pretendevano i capi del M5S e della Lega, aveva destato giustificate preoccupazioni, soprattutto dalle parti del Colle che infatti si oppose, perché ritenuto colpevole di un supposto euro-scetticismo strisciante (lui in verità nega, “datemi dell’idiota – ha esclamato recentemente dinanzi alla stampa – ma non dell’euroscettico”), di un carbonaro “piano B” per fuggire dall’euro, di avventurose teorie economiche sulla crescita basata su corpose esposizioni deficitarie (ha tranquillamente dichiarato che il 2,4% di deficit è poca cosa rispetto al bisogno effettivo di flessibilità).

Eppure, guarda un po’, Savona si sta dimostrando, sempre a modo suo intendiamoci, sorprendentemente lungimirante, assai cauto nelle esternazioni per non aggravare ulteriormente le tensioni con Bruxelles, il più equilibrato nel governo, il meno coinvolto nei folli meccanismi elettorali del “tutto, maledetto e subito” che animano i proclami del duo Di Maio/Salvini, personaggi visti da una consistente fetta dell’elettorato quali capitani coraggiosi anti-establishment (“non si torna indietro”, “noi tireremo dritto”, “non tradiremo gli italiani” e slogan similari).

All’improvviso Savona è sgusciato via dalla mischia mandando un pacato ma fermo messaggio ai pasdaran giallo-verdi della maggioranza, al cangiante e remissivo ministro dell’Economia Giovanni Tria e all’invisibile e ininfluente premier Giuseppe Conte: signori miei – ha avvertito nella sostanza – datevi una calmata, se lo spread aumenta dobbiamo rivedere la manovra, i parametri sul deficit e sulla crescita calati nel Def. Passo e chiudo.

Sembrava fosse il buon Tria il vero guardiano dei conti, del dialogo con l’Europa e della prudente gradualità nella realizzazione delle promesse contenute nel Contratto di governo; invece, tra un braccio tirato dalla portavoce di Salvini per trascinarlo lontano dai giornalisti e il microfono spento dal presidente della commissione Bilancio alla Camera Claudio Borghi quando stava replicando alle critiche di Renato Brunetta, durante l’audizione parlamentare sul Def, abbiamo capito che il bravo economista è stato messo lì solo per eseguire ordini.

Cosa può accadergli ancora? Convinceranno la colf a sottrargli i calzoni per tenerlo in casa durante un “question time”? Gli sgonfieranno le gomme dell’auto per impedirgli di parlare a una manifestazione di categoria? Gli faranno sparire la borsa con i grafici e le cifre per paura di rimaneggiamenti non concordati prima di un vertice europeo? Siamo alla farsa.

Intanto, la magnifica coppia Di Maio/Salvini (se presto non scoppierà sotto l’urto dei mercati andando a nuove elezioni sulle note dell’inno di battaglia “In marcia contro la maledetta Europa”) continua a cercare i bagni di folla, meglio se nei dintorni di Palazzo Chigi, con selfie e applausi che nemmeno da XFactor, mentre lo spread non sembra schiodarsi dall’area 300 (brutta faccenda perché l’aumento degli interessi da pagare sui titoli è a carico dello Stato, quindi dei contribuenti, con maggiori spese previste di oltre 2,2 miliardi solo nel 2019) e Piazza Affari, almeno per ora e sulla scia negativa di Wall Street e delle borse asiatiche, è in preda a persistenti e costose convulsioni.

Inoltre, ad oggi non ci sono le risorse per mettere in campo, se non in versione light e con parecchia incertezza su modalità d’applicazione e platea di beneficiari, reddito e pensione di cittadinanza, riduzione del cuneo fiscale (cioè del costo del lavoro suddiviso tra imprese e dipendenti), quota 100 e flat tax (al netto del congelamento dell’Iva e di altre spese obbligatorie).

In soldoni, è il caso di dirlo, nonostante tagli programmati sui servizi per 5 miliardi (sono cominciate le proteste nel settore Scuola) mancano all’appello una ventina di miliardi che francamente non si sa, nessuno lo sa, dove andarli a prendere e in così poco tempo (lo avevamo preannunciato nel precedente articolo “Quella festa al balcone ci costerà cara”). Altri tagli? Quali? Il rischio insomma è, dopo averle create, di disattendere ampiamente immense aspettative.

Ma loro, i due condottieri del “me ne frego”, infischiandosene altamente degli allarmi della Bce, del Fmi, della Corte dei Conti, dell’Ufficio parlamentare di bilancio, dell’Inps, della Banca d’Italia, della Commissione europea, di Fitch e compagnia bella, organismi marci, complottisti, nemici del popolo e della contentezza, non arretrano di un millimetro esibendo pettorali e bicipiti.

Atteggiamento tipico, però, di chi sa che il proprio consenso poggia su sabbie mobili se conquistato sul versante economico con promesse allettanti ma impossibili se cumulativamente intese, facilmente volatile, da alimentare con elargizioni istantanee di denaro, minori tasse e uscite anticipate dal lavoro. Non importano le conseguenze, non importa se a debito, non importa se con probabili brutte sorprese, nell’immediato e nel prossimo futuro, nascoste tra numeri e percentuali. Poi si vedrà, intanto selfie, balconate e applausi.

 

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