Paternò, la solitudine e i 'mostri' | Le ultime foto della felicità - Live Sicilia

Paternò, la solitudine e i ‘mostri’ | Le ultime foto della felicità

Una storia tragica con i contorni ancora da chiarire. E quel mostro nella vita di tutti.

Omicidio-suicidio
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Le foto sopravvissute della felicità. Natale di qualche anno fa. Una fetta di torta a forma di albero. Una capannina del presepe con i pastori quasi in girotondo intorno al bambinello. Il ritratto dei figli. Mangiano il gelato e sorridono. Questo era il mondo di Cinzia prima che qualcosa lo distruggesse.

Le foto della vita che non ci sarà mai più. La bacheca di Gianfranco, descritto come una persona esemplare, in tinta con il suo lavoro di promotore finanziario. Questo era il mondo di un padre prima che diventasse un omicida, secondo la cronaca fin qui disponibile. Secondo le indagini attualmente in corso, infatti, Gianfranco Fallica, nei giorni delle feste vissute con serenità a Paternò, avrebbe ucciso la moglie Cinzia Palumbo e i figli. Infine, il suicidio.

Un evento mostruoso è entrato nel ritratto della famiglia felice e lo ho sporcato con sangue innocente. Perché è accaduto? Forse la depressione, ma è presto per dirlo. Forse una solitudine nascosta: l’orrore che si è nutrito di silenzi e sguardi fino a diventare follia. Da lì sarebbe divampata una violenza non giustificabile ed è certo che questa storia ha in sé il suo principio e la sua fine, perché non può essere sovrapposta a niente, nella sua crudeltà e nel suo dolore, nemmeno per i racconti atroci che le somigliano.

E c’è la cautela da tenere in conto, anche per gli ultimi sospiri del dubbio, a  consigliare un prudente condizionale, aspettando la sicurezza. Eppure è innegabile: questa è l’epoca dei mostri con cui si convive. Non tutti contemplano la deflagrazione; molti agitano la loro coda in esistenze che non esploderanno, ma non significa che non ci siano.

Questo è l’inverno delle solitudini che non si parlano, che non sono guardate, che non hanno voci per definirsi. Abbiamo la vastità dei social, il dettaglio della cassata appena sfornata, il selfie con gli amici in trattoria, il gattino per il diporto, la lacrimuccia per la commozione e la faccina arrabbiata per l’indignazione. Ma quanto di noi stessi passa davvero in quelle strade trafficate? E quante volte, in mezzo alla folla virtuale, proprio perché inesauditi nella nostra richiesta di affetto, ci siamo sentiti soli?

Questa è la corsia del malessere esistenziale che non accede a un modulo per chiedere aiuto. Perché abbiamo paura della fragilità al cospetto di tanti modelli vincenti. E perché la depressione coltiva la sua idiosincrasia allo svelamento. I mali dell’anima hanno in sé l’imbarazzo di una mutilazione acuta e sovente incompresa. Questo è il tempo delle cose da dire. E nessuno le dice. E nessuno le urla. E nessuno le ascolterebbe. Questa è la terra del silenzio senza un suono che la riscatti.

Restano i segnali lanciati in una bottiglia infinita nella grandezza dei rimpianti. Restano le foto del Natale quando eravamo insieme, la torta sbocconcellata, l’albero con le luminarie. Il mondo di Cinzia. Il mondo di Gianfranco. Il mondo dei figli che non cresceranno. Lo stesso nostro mondo. E il mostro in agguato dietro la porta chiusa.

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