Santapaola, omicidi e latitanza |Ecco chi è Nuccio Cannizzaro - Live Sicilia

Santapaola, omicidi e latitanza |Ecco chi è Nuccio Cannizzaro

Il boss catanese che ha fatto ricorso alla Consulta. La sua storia criminale è macchiata di sangue. Ma lui si professa innocente.

CATANIA – Passa da Catania la decisione della Consulta sull’ergastolo ostativo che ha acceso il dibattito tra giuristi, magistrati e penalisti. Uno dei ricorrenti è infatti un catanese. Uno di quelli che, come raccontano le sentenze, ha avuto un ruolo cruciale nella storia della mafia di Cosa nostra catanese. Si chiama Sebastiano Cannizzaro, per i catanesi Nuccio. È il boss che ha messo la pietra tombale al progetto di soppiantare i Santapaola con i Mazzei. Un progetto ideato negli anni ’90 dai fedelissimi di Totò Riina e Leoluca Bagarella che non avevano mai accettato la strada della diplomazia del padrino di Catania. E così per seguire la linea stragista, i corleonesi decidono di fare uomo d’onore Santo Mazzei. ‘U carcagnusu sembrava l’uomo giusto a cui affidare il compito di portare la strategia del terrore anche nella Sicilia orientale. Il suo battesimo di mafia è avvenuto nell’estate del 1992 a Catania. Leoluca Bagarella, accompagnato da Giovanni Brusca e Nino Gioè, è venuto apposta alla falde dell’Etna. Ci sono leggende che raccontano che Mazzei ritardò all’appuntamento con i corleonesi per compiere un omicidio. Ma pochi mesi dopo, Santo Mazzei (all’epoca latitante) è stato arrestato in auto con Girolamo Rannesi. Un posto di blocco e la Squadra Mobile di Catania lo ha acciuffato. Da quel 10 novembre 1992 non è più uscito dal carcere, anche se questo non ha fermato uno dei fondatori del ‘cartello mafioso’ dei Cursoti.
Nelle carte del blitz Orione del 1998, che ha visto tra gli arrestati anche Nuccio Cannizzaro, è scritto come Mazzei avesse a disposizione in carcere un cellulare che serviva per dare ordini al suo delfino Massimiliano Vinciguerra. Quest’ultimo sarebbe stato poi ucciso (questa la verità processuale) su ordine proprio di Nuccio Cannizzaro, il boss santapaoliano dalla spiccata intelligenza criminale. Ma l’efferato delitto di Vinciguerra, forse uno dei più spietati tra quelli di lupara bianca, è stato escogitato per rispondere ai piani di sangue dei Corleonesi.
Massimiliano Vinciguerra era sempre in viaggio tra Catania e Palermo. Nel 1998, ad uno dei summit con il padrino palermitano Vito Vitale, Vinciguerra si è portato il santapaoliano Angelo Mascali. Il delfino di Santo Mazzei si era fidato, avrebbe garantito personalmente sull’affidabilità di Mascali: “E’ con noi”. L’errore che lo ha condannato alla morte. In quella riunione, come poi racconterà Mascali stesso nei suoi verbali, Vito Vitale e Vinciguerra avevano stilato la lista dei santapaoliani da fare fuori: Nuccio Cannizzaro, Enzo Santapaola (il figlio di Nitto), Antonino Motta e Maurizio Zuccaro. Insomma i vertici del clan. Mascali, al rientro a Catania, è corso subito da Nuccio Cannizzaro per raccontargli tutto: i Mazzei, con l’aiuto dei Riela e di Aldo La Rocca, volevano spodestare i Santapaola a Catania. E così sono stati organizzati i due omicidi che hanno portato alla condanna (definitiva) all’ergastolo di Nuccio Cannizzaro. Vinciguerra è stato attirato in una trappola: ha avuto il tempo di prendere in mano la tazzina del caffè che lo hanno ammazzato. Strangolato e abbandonato in un bidone. Dove è stato ritrovato qualche tempo dopo. Giovanni Riela, invece, è stato ucciso per errore, il vero obiettivo delle pistolettate era il fratello Ciccio. Insomma al sangue Nuccio Cannizzaro, indicato all’epoca come il reggente dei Santapaola, ha risposto con altro sangue. Il potente boss aveva contatti importanti dall’altra parte dell’Isola, partendo dal padrino Bernardo Provenzano fino al capo della famiglia di Caltanissetta, Giuseppe ‘Piddu’ Madonia.
Nuccio Cannizzaro è stato arrestato nel blitz Orione nel 1998. Poi sono arrivati i pentiti e anche le condanne. Alla fine di giugno 2007 è stato scarcerato per decorrenza dei termini. E il boss catanese ha pensato bene di darsi alla latitanza. In quei giorni infatti doveva arrivare la decisione della Cassazione. Ma la Squadra Mobile lo ha individuato e catturato in una villetta della zona periferica di Mascalucia. Il suo difensore, Valerio Vianello Accoretti, intervistato dal Fatto Quotidiano, sminuisce quella fuga: “Ma credo che lo fece perché temeva seriamente di essere ucciso”. Ha trascorso diversi anni al 41bis, oggi è detenuto al carcere di Sulmona in regime di Alta Sicurezza. Ed è lì che il suo avvocato gli ha comunicato la vittoria davanti alla Corte Costituzionale. Cannizzaro, attraverso il suo legale, ha detto in una intervista a La Stampa: “Io a questa condizione non mi sono mai arreso. Ho provato prima ad ottenere la revisione del processo e poi con questo ricorso pur di ottenere i benefici. È importante combattere anche per pochi giorni di libertà”. Nuccio Cannizzaro considera quello che c’è scritto nelle sentenze una bugia: “Sono accusato di omicidio ma non ho mai ucciso nessuno”. E non accetta nemmeno l’idea del ‘pentimento’: “Avrei dovuto dire bugie per ottenere i benefici?”. Ecco chi è il boss catanese che ha deciso di combattere il sistema. Ed ha vinto. L’importante è non trasformare una vittoria sul diritto dei detenuti in un favore alla mafia. È necessario che le istituzioni e gli operatori di legge, dalla magistratura all’avvocatura, non lo permettano.

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