Dal boss 'la morte' al fisioterapista| Mafia, raffica di condanne - Live Sicilia

Dal boss ‘la morte’ al fisioterapista| Mafia, raffica di condanne

Il tribunale di Palermo

I mafiosi di Monreale sfidarono quelli di San Giuseppe Jato

PALERMO – La Procura aveva ricostruito una stagione di violenza e lotta per il potere. I mafiosi di Monreale sfidarono quelli di San Giuseppe Jato, dove da sempre ha sede il mandamento, e la reazione fu veemente. Dalle minacce accompagnate dalle teste di capretto si arrivò ai pestaggi.

Il processo di appello si conclude con una raffica di condanne, con lievi sconti di pena, e una sola assoluzione. La sentenza è della Corte presieduta da Giacomo Montalbano.

Furono i carabinieri del Gruppo Monreale fra marzo e ottobre del 2015, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, ad azzerare i clan. Gli arresti dell’operazione “Nuovo mandamento” del 2013 avevano creato un vuoto di potere. E si sfidarono due fazioni: quella guidata dall’anziano Gregorio Agrigento, affiancato da Ignazio Bruno, e quella che faceva capo a Giovanni Di Lorenzo, soprannominato “la morte”, che intendeva garantire gli interessi dei vecchi capi. A cominciare da Salvatore Mulè, storico capomafia che sta scontando diciannove anni di carcere al 41 bis. Alla fine fu trovata l’intesa e la guerra evitata.

Nel frattempo, però, si decise di punire alcuni personaggi della famiglia di Monreale. L’insospettabile fisioterapista Giovan Battista Ciulla veniva accusato di avere rubato i soldi della cassa del mandamento e di avere violato il codice etico, intrattenendo una relazione con la moglie di un detenuto. E così il 25 febbraio del 2015 fu convocato un vertice in località Cozzo Pezzingoli, nella frazione di Poggio San Francesco, territorio di Monreale. C’erano Girolamo Spina e Ignazio Bruno per il mandamento di San Giuseppe Jato, Salvatore Lupo (ora deceduto) e Francesco Balsano per Monreale. Ed è proprio su Balsano, nipote del boss Giuseppe Balsano morto suicida in carcere, che sarebbe caduta la scelta per sostituire Ciulla. Il fisioterapista fiutò il pericolo e si diede alla fuga in un paesino in provincia di Udine.

Della compagine di Ciulla l’unico a meritare rispetto era Antonino Alamia. Gli altri andavano messi da parte. Da qui una lunga scia di terrore. Teste di capretto con pallottole conficcate in testa e pestaggi con spranghe di ferro.

Anche Onofrio Buzzetta, braccio destro di Ciulla, finì nel mirino. Balsano si avvicinò a lui mentre era in macchina: “Porta tutti i soldi che ti sei preso nei lavori”. Buzzetta: “Io sono pulito, ti giuro”. E Balsano mise le cose in chiaro: “Sono autorizzato ad ammazzarti pure ora…”. E mentre parlava “gli ho puntato la pistola in bocca a Nofrio”. Buzzetta cercò aiuto nei mafiosi di Corleone. Trovò protezione in Rosario Lo Bue, allora in libertà ma poi arrestato con l’accusa di essere il capo mandamento nel paese di Riina e Provenzano.

Ciulla si defilò. All’inizio del 2016 le microspie captarono il suo ritorno alle armi. Voleva spodestare Salvatore Lupo a cui Giovanni Pupella, incaricato di gestire lo spaccio di droga a Monreale, consigliava di partire all’attacco: “Totò loro devono buscarle, Totò, e basta… a loro non dobbiamo fare capire nulla… loro devono rimanere a piedi”. Tra un conflitto e un altro i clan del mandamento di San Giuseppe Jato erano impegnati a riscuotere il pizzo. Pochissime le ammissioni dei commercianti taglieggiati.

Ecco l’elenco degli imputati condannati: Antonino Alamia (12 anni), Ignazio Bruno (17 anni in continuazione con una precedente condanna), Onofrio Buzzetta (10 anni e 4 mesi), Pietro Canestro (1 anno e 10 mesi), Giovan Battista Ciulla (9 anni e 8 mesi), Giuseppe D’Anna (12 anni), Sergio Denaro Di Liberto (8 anni e 8 mesi), Giovanni Di Lorenzo (11 anni), Andrea Di Matteo, Giuseppe Giorlando (9 anni e 8 mesi), Umberto La Barbera (1 anno e 10 mesi), Tommaso Licari (1 anno e 8 mesi), Domenico Lo Biondo (1 anno e 8 mesi), Nicola Rinicella (6 anni e 8 mesi), Giuseppe Riolo (8 anni e 8 mesi), Girolamo Spina (9 anni), Giuseppe Buscemi Tartarone (9 anni e 8 mesi), Giovanni Battista Inchiappa (8 anni), Salvatore Terrasi (8 anni), Andrea Di Matteo (8 anni), Ettore Raccuglia (1 anno e 8 mesi), Sebastiano Andrea Marchese (2 anni), Giovanni Pupella (8 anni e 8 mesi), Alberto Bruscia (8 anni e 4 mesi), Francesco Balsano (11 anni e due mesi), Salvatore Billetta (8 anni), Antonino Giorlando (2 anni e due mesi)

L’unico assolto, subito scarcerato, è Giovan Battista Licari, difeso dall’avvocato Vincenzo Giambruno (in primo grado era stato condannato a 8 anni).

 


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