L'eterna fuga del padrino|e la regola del silenzio - Live Sicilia

L’eterna fuga del padrino|e la regola del silenzio

Tabula rasa attorno a Matteo Messina Denaro. Che però resta latitante.

PALERMO – Se si dovesse dare credito alle parole intercettate la traccia più recente di Messina Denaro sarebbe datata 20 giugno 2017.
Gaetano Scotto, boss dell’Acquasanta diceva a un nipote: “… mi manda sempre i saluti di Alessio, di Messina Denaro, questo che non c’è più, questo che è latitante. Dice: a me ci sono persone che mi parlano sempre di te… parla sempre di te… il mio idolo dice… ieri l’ho visto mi è venuto a cercare”.
Alessio è il nome che Messina Denaro usava per firmare la corrispondenza con Bernardo Provenzano.
Il boss dell’Acquasanta riceveva davvero i saluti dell’imprendibile latitante di Castelvetrano?
Negli anni si è sentito di tutto intercettando le conversazioni dei mafiosi. Di tutto e di più, persino che se ne andava a caccia in campagna o che giocava a carte in un garage.

È di ieri la notizia dell’arresto di Giuseppe Calcagno, uno dei pizzinari della rete di comunicazione gestita dal boss Vito Gondola e smantellata nel 2015. I poliziotti della squadra mobile di Trapani hanno battuto la pista Calcagno nella speranza che fosse ancora attuale. Niente da fare.
Messina Denaro resta latitante dal 1993, è l’ultima delle primule rosse di Cosa Nostra. È un fantasma che in qualche modo riesce a comandare sul suo territorio di riferimento, ma che non eserciterebbe un potere assoluto sull’intera organizzazione mafiosa. Almeno quella che è stata smantellata a forza di blitz.

Gli hanno arrestato di tutto. Parenti e amici. Per ultimo il cognato, Gaspare Como, considerato il capo del mandamento mafioso di Castelvetrano. Ha proseguito la tradizione criminale di famiglia. Lo hanno arrestato assieme a Rosario Allegra, deceduto la scorsa estate, mariti rispettivamente di Giovanna e Bice, sorelle del latitante. Per un lungo periodo sono stati gli unici due maschi rimasti in libertà. Solo di recente, infatti, sono stati scarcerati per fine il fratello del padrino, Salvatore Messina Denaro, e il cognato Vincenzo Panicola, marito di Anna Patrizia, pure lei in carcere. Ma non gli hanno mai tolto gli occhi di dosso.
Filippo Guttadauro, marito della quarta sorella del latitante, Rosalia, è detenuto da tempo.

Strana storia quella di Guttadauro, fedelissimo di Bernardo Provenzano. Sono quattro anni che vive in carcere da internato al 41 bis. Ha finito di scontare la condanna, ma a quelli come lui, socialmente pericolosi, viene applicata una ulteriore misura di sicurezza. E così è rimasto internato presso la “casa lavoro” di Tolmezzo. Un lavoro che in realtà in carcere non c’è. Di fatto manca lo strumento per valutare il comportamento del cognato di Matteo Messina Denaro e il suo status di viene mantenuto di proroga in proroga. In gergo carcerario viene definito “ergastolo bianco”.
Nell’elenco di chi sta scontando una condanna ci sono anche Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e nipote del cuore di Matteo Messina Denaro, e Girolamo Bellomo, nipote acquisito in quanto marito di Lorenza Guttadauro (figlia di Filippo). Perché a casa Messina Denaro la mafia è un affare di famiglia.
Il latitante appare insensibile a tutto ciò. Non si percepisce una sua reazione, un bisbiglio. Matteo Messina Denaro assiste con apparente distacco alle disgrazie giudiziarie dei suoi familiari, indaffarato com’è a scappare.
Venticinque anni di fuga, da quando nel 1993 andarono a casa per notificargli un mandato di arresto per le stragi di Roma e Firenze.
Nel 2006 Messina Denaro scriveva a Bernardo Provenzano, rintanato nel covo di Montagna dei Cavalli, che “qui stanno arrestando pure le sedie”. Da allora e fino ai nostri giorni, di arresti ce ne sono molti altri.
Mancano all’appello gli ultimi anelli della catena di protezione, gli unici davvero vicini al latitante, che possono parlargli.
Qualche anno fa l’anziano boss di Villagrazia Mariano Marchese, diceva riferendosi a Totò Riina e Bernardo Provenzano, che “se non muoiono, luce non se ne vede”. Sono morti tutti, anche Marchese. Matteo Messina Denaro invece se ne va in giro, chissà dove. In Sicilia o all’estero.

Nel 2008 e nel 2018 gli investigatori hanno bloccato i tentativi di riorganizzare Cosa Nostra. Due anni fu convocata la riunione della cupola del dopo Riina in una palazzina alla periferia di Palermo. I boss, tutti super intercettati, di Messina Denaro non parlavano. Nessun riferimento, nessuna traccia.
Il capomafia trapanese non fa passi falsi. Forse l’ultima volta che stava per violare la sua riservatezza fu nel 2007 quando si dice che stesse andando a incontrare Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo e allora uomo forte dell’intera mafia palermitana. Se il pentito Andrea Bonaccorso ha detto la verità il 5 novembre di quell’anno Matteo Messina Denaro stava raggiungendo a bordo di una Panda verde una villa a Giardinello. È lì che quel giorno il boss di San Lorenzo fu arrestato. È lì che quel giorno poteva finire la latitanza del boss trapanese, ma è andata diversamente.
Non era da solo Messina Denaro, ma in compagnia di Franco Luppino, uno dei suoi uomini più fidati, e Ferdinando Gallina (di cui da tempo si attende l’estradizione dagli Stati Uniti), giovane e rampante boss della famiglia di Carini, alleata fedele di Lo Piccolo. Videro l’elicottero che seguiva dal cielo le fasi della cattura del boss di San Lorenzo, del figlio Sandro, di Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo.
La pesca fu grossa, ma poteva essere grossissima se avessero catturato anche Messina Denaro. Che, però, così Bonaccorso racconta di avere saputo da Pino Scaduto, capomafia di Bagheria, fece marcia indietro.
Il capomafia fu davvero così imprudente e perché? Di sicuro ha fatto del silenzio una regola, per sé per gli altri. È questo è segno di grande forza e potere.

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