Riforme, alleanze, burocrazia|Le spine di Musumeci - Live Sicilia

Riforme, alleanze, burocrazia|Le spine di Musumeci

SEMAFORO RUSSO
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6 min di lettura

È giunto il tempo, soprattutto dopo gli ultimi fatti di cronaca politica siciliana, di tentare un parziale consuntivo dell’era musumeciana. In piena pandemia da Covid-19 si è conclusa la prima metà della legislatura e già soffiano venti di campagna elettorale con un centrodestra assai scomposto, il M5S colpito da una scissione interna e un centrosinistra, guidato numericamente dal PD, che forse da noi non esiste come comunemente inteso per il “fluttuare” da destra a sinistra,  e viceversa, dei cosiddetti partiti di centro.

Qualche settimana fa abbiamo ipotizzato un’alleanza programmatica e politica anche in Sicilia tra Pd e M5S iniziando dalle imminenti elezioni in alcuni comuni e poi alle regionali, pare che il dialogo sia in corso. Vedremo. Da decifrare Italia Viva di Renzi. Facciamo un passo indietro per farne successivamente uno in avanti ricordando il contesto, all’alba della XVII legislatura, tutto sommato di cauta apertura da parte di tanti verso Musumeci, compreso il sottoscritto che certo non proviene da una militanza di destra. A dimostrazione dell’inesistenza di chiusure “a prescindere”, direbbe il grande Totò.

Indubbiamente si partiva male, la diffidenza crescente dei siciliani nei confronti della politica si manifestò inequivocabilmente nella scarsissima affluenza alle urne. Crocetta, insieme ai partiti che sostennero i suoi governi, PD in testa, peggiorò una situazione di stanchezza dell’elettorato di suo già compromessa. Andò a votare, infatti, solo il 46,76% degli elettori e di questi soltanto il 39,85% scelse Musumeci, appena 830.821 elettori su 4.661.111 aventi diritto. Ne uscì una maggioranza assai risicata, 36 deputati su 70. Un margine talmente sottile, e così è rimasto dopo vari cambi di casacca e la nascita di nuovi gruppi (l’ultimo, frutto della scissione nel M5S), da minacciare costantemente il cammino tortuoso del governo regionale. Fatta la premessa “storica” occorre rivolgerci al presente.

Un presente, è giusto non girarci intorno, denso di delusione riprendendo le aspettative originarie. Purtroppo, dobbiamo registrare diverse insufficienze a carico del presidente Musumeci, sia dal punto di vista istituzionale – vedi la lamentata poca presenza ai lavori di Sala d’Ercole, la non applicazione di leggi per mancanza dei decreti attuativi, tanto da richiedere un’apposita commissione all’Ars, e il ritardo nell’invio delle relazioni tecniche a corredo dei disegni di legge, la sceneggiata contro il voto segreto quando in passato da deputato ne era stato un accanito difensore – sia da quello più strettamente legato alla capacità di governo.

Musumeci risulta in alto nei sondaggi sulla gestione della pandemia ma non nella classifica di gradimento dei governatori, e una ragione ci sarà pur mettendo nel conto limiti e difetti di graduatorie e punteggi. In realtà, il suo monumentale programma elettorale è ancora in larga misura sulla carta e la Sicilia non mostra di essere avanzata economicamente e socialmente, indipendentemente dal coronavirus. Troppe riforme stanno al palo o camminano troppo lentamente prive, alla base, di una fattiva collaborazione, opportuna trattandosi di riforme, con l’opposizione dei democratici e dei pentastellati. Interi settori insidiati dalla corruzione e dai tentativi della mafia di farla da padrona, ricordiamo per esempio l’eterna ed esplosiva emergenza rifiuti, sono nel mirino della magistratura. La decantata spesa dei fondi comunitari, qualificata da Musumeci a livelli buoni, dovrebbe essere accompagnata dal dettaglio di quanto realizzato con quei soldi insieme all’impatto reale della spesa sul PIL siciliano, sul miglioramento infrastrutturale e sull’occupazione.

“Dettagli” introvabili tra le carte. Un velo pietoso stendiamo sul mantenimento di alcuni personaggi nell’alta burocrazia e nel sottogoverno regionale, i soliti abili navigatori sotto qualunque bandiera e qualunque siano le mostrine del capitano della nave. Musumeci ha decisamente ecceduto negli inchini alla Lega – la vicenda della nomina di Alberto Samonà assessore proprio ai Beni Culturali e all’Identità siciliana in quota Carroccio nonostante le proteste di settori vasti dell’opinione pubblica per le disinvolte simpatie dal sapore fascista del soggetto, il quale afferma appartenere a un passato ora rinnegato, si inserisce in siffatto remissivo atteggiamento – rivelando obtorto collo qualcosa in più delle esigenze concrete di consolidamento della sua fragile maggioranza, quasi a condividere con i guerrieri di Pontida in camicia verde (dis)valori, l’uso spregiudicato dei simboli religiosi, discriminazioni, i discutibili rapporti con forze politiche europee e internazionali che coltivano nazionalismo oltranzista misto a estremismo di destra e ostilità verso Papa Francesco.

E’ recente la precipitosa solidarietà espressa da Musumeci a Salvini dopo l’autorizzazione a procedere votata dal Senato nei confronti dell’ex ministro dell’Interno per il caso Open Arms. La Lega, che non ha affatto abbandonato il progetto di affrancare le regioni del Nord da un Sud giudicato parassita e improduttivo attraverso l’autonomia differenziata, ha avuto nell’Isola alle ultime europee un incredibile 20%, alle regionali del 5 novembre 2017 però non elesse alcun deputato esplicitamente leghista (ce ne fu uno in corso di legislatura poi dichiarato ineleggibile) e l’attuale gruppo della Lega all’Ars, sbocciato appena 5 mesi fa nel gennaio 2020, è composto ormai da due onorevoli (erano quattro) provenienti da altri partiti. Infine, si nota una quasi quotidiana polemica sopra le righe con il governo Conte, appunto da campagna elettorale.

Per carità, assolutamente legittimo, ma sembra una maniera propagandistica per nascondere inefficienze regionali. Fortunatamente non abbiamo vissuto la medesima tragica esperienza della Lombardia che ci avrebbe devastato per le condizioni in cui versa la nostra sanità, pure al netto delle inchieste su corruzione, appalti pilotati e tangenti nel settore sanitario (cronaca giudiziaria recentissima). Dobbiamo investire seriamente sulla Sanità pubblica dopo decenni di sprechi e ruberie ed eliminare zone d’ombra e conflitti d’interesse su quella privata, da non demonizzare in assoluto, sia chiaro, ma abbastanza alimentata con soldi della collettività. Sono stati stanziati adesso 85 milioni di euro per apparecchiature di media tecnologia (ecografi, microscopi, tavoli operatori, elettrobisturi, laser chirurgici, angiografi, colonne laparoscopiche, defibrillatori), cioè parliamo di ordinaria amministrazione.

Ma è l’attualità a suscitare perplessità: i persistenti attacchi generici di fannulloneria ai regionali senza uno straccio di prova documentale, mortificando in massa un’intera categoria di persone di cui lui è il datore di lavoro. La reprimenda ai dirigenti generali, da lui nominati, sembra un intervento a valle e residuale (divise degli uscieri, segnaletica interna, passeggio negli assessorati di “lobbisti”) non la premessa di una rivoluzione della p. a. regionale; la scelta di auto nominarsi nei fatti turiferario di Salvini fotocopiando l’aggressione leghista rivolta ai migranti quando è ormai certificato che i famigerati decreti sicurezza salviniani, che trasudano incostituzionalità come un colapasta, non sono serviti a fermare gli sbarchi autonomi, al di fuori dei porti chiusi, ma solo a far morire la gente in mare e a distruggere un collaudato e umano sistema di accoglienza; l’assenza all’inaugurazione del viadotto Himera sulla A19 – accusando di ritardi un sottosegretario grillino in carica da poco dimenticando invece le enormi responsabilità dei governi precedenti, compresi quelli sostenuti da schieramenti dove il nostro governatore ha militato nel passato e che ora corteggia – non aiuta la leale collaborazione tra istituzioni. In conclusione, caro presidente Musumeci dobbiamo lamentare un’amara evidenza: cambiano i fronti, cambiano gli uomini sul ponte di comando ma la minestra sembra rimanere uguale e piuttosto insipida, se non indigesta.

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