Covid, intensiva e tecnica Ecmo: dove si lotta per la vita - Live Sicilia

Covid, intensiva e tecnica Ecmo: dove si lotta per la vita

Le parole di Salvo Nicosia, direttore dell' Anestesia e Rianimazione del San Marco: "Chi si ammala rischia di morire".
L'ULTIMA TRINCEA DELL'EMERGENZA
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CATANIA – Potremmo definirlo “il miglio verde” dell’emergenza sanitaria. Il reparto della Rianimazione dell’ospedale San Marco di Catania, Covid Hub della Sicilia orientale, ormai da quasi due mesi vive gli effetti devastanti di questa ondata della pandemia. Da settimane i 28 posti letto dedicati alla Terapia Intensiva registrano ‘completo’. E purtroppo il tasso di mortalità – per chi arriva in rianimazione – tocca “drammaticamente quasi il 50%”. Salvo Nicosia, direttore dell’Anestesia e Rianimazione del San Marco, è concreto: “La malattia colpisce tutti senza esclusione di fasce d’età. Abbiamo pazienti ricoverati in intensiva anche di 50 anni”. 

Oltre la metà dei positivi che arrivano, dunque, alla fase più acuta della patologia riesce a “intraprendere il percorso inverso e quindi a passare al reparto di sub-intensiva e poi in degenza di malattie infettive”, spiega ancora il direttore Nicosia. La ventilazione meccanica è la scelta più dura per rispondere alla “fame d’aria”. Ma al Policlinico di Catania c’è anche uno strumento in più per quei pazienti che per diversi fattori clinici hanno buone probabilità di poter superare la grave insufficienza respiratoria. Si tratta della tecnica Ecmo, disponibile al ‘padiglione 8’ del Policlinico.

“Il sistema di ossigenazione extracorporea — spiega Nicosia – permette di sostituire la funzione respiratoria dei polmoni ed ossigenare il sangue. Attraverso la cannulazione di grossi vasi venosi il sangue viene prelevato e le membrane dell’ossigenatore scambiano l’ossigeno con l’anidride carbonica. Non è uno strumento terapeutico – chiarisce il rianimatore – ma serve a guadagnare tempo in attesa che il polmone superi la fase più acuta. È una tecnica molto aggressiva ed infatti viene scelta di attuare solo in casi specifici”.

Essendo l’unico centro Ecmo a Catania, al Policlinico arrivano anche pazienti da altri ospedali. Da qualche giorno è stato trasferito l’atleta 44enne. “C’è in progetto di portare la tecnica Ecmo anche al San Marco, per evitare il trasferimento dei pazienti da un plesso a un altro. Ma al momento è una ipotesi”, afferma Nicosia.

“Questo virus, purtroppo, ha diverse forme di espressività: dipende dal ricevente e dalla sua risposta immunitaria. Ma il concetto è che chi si ammala rischia di morire”, afferma ancora il direttore. “Questa epidemia – argomenta – corre sulle gambe dell’uomo che si infetta. A preoccupare non sono i paucisintomatici, che avendo sintomi influenzali e febbrili stanno a casa, ma gli asintomatici. L’unica arma è dunque limitare i contatti e proteggersi”. Anche perché le terapie farmacologiche a disposizioni sono veramente poche. Eparina e cortisone, “rispetto alla prima fase della pandemia molti farmaci sono stati esclusi. Abbiamo avviato la somministrazione dell’eparina tramite aerosol e nutriamo buone aspettative dagli anticorpi monoclonali”. 

Tra i rianimatori, gli infermieri e i socio sanitari che operano in Rianimazione del San Marco non vi è stato alcun contagio. “Questa è la dimostrazione che se ci si protegge non ci si infetta”, dichiara Nicosia. 

È un lavoro duro quello del rianimatore. “A differenza di altri, noi siamo abituati a curare i pazienti che non ci scelgono. Il Covid, però, ha trasformato la Rianimazione da reparto aperto a “chiuso”. Prima i familiari potevano visitare quotidianamente i loro congiunti, potevano verificare la qualità delle cure, le attenzioni e l’accudimento riservato ai malati; oggi purtroppo il rapporto coi familiari è quasi solo telefonico e questo rende più difficile l’instaurarsi di un normale rapporto di empatia e fiducia”.

La dedizione e l’entusiasmo non mancano a medici e infermieri che Nicosia ha il privilegio di coordinare: “Abbiamo assunto diversi giovani medici e anche specializzandi oltre che infermieri e operatori sanitari e le devo dire che noto in loro l’amore per questa professione, che è quella di curare e assistere. Siamo medici e operatori della sanità pubblica: non siamo eroi”, conclude Nicosia. 

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