Gaia, bimba positiva al Covid che ha ritrovato la sua mamma

Gaia, bimba positiva al Covid che ha ritrovato la sua mamma

Il tributo pagato dai camici bianchi. Al pronto soccorso del 'Cervello' una ventina di positivi.
COVID, LA STORIA
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PALERMO- Nel disegno di una mano bambina, c’è tutta la gioia dell’amore che si ricongiunge. Lei è Gaia (che non si chiama così) e ha dieci anni. La mamma, positiva, curata dai meravigliosi ragazzi del pronto soccorso del ‘Cervello’ viene ospitata al ‘Covid Hotel’ per non restare a casa in promiscuità con i familiari. Anche la bimba finisce al pronto soccorso, per quasi un giorno, mentre aspetta l’esito del tampone, e non può andare da nessuna parte. Anche lei risulta positiva. Che fare? Non può tornare in famiglia per non metterla a rischio, non può certo restare in ospedale, avendo, per fortuna, pochi sintomi. Intercorrono telefonate in cerca di una soluzione.

L’attesa e il ricongiungimento con la mamma

L’Hotel Covid di Palermo ha un locale per paziente e non prevede che ci siano più persone nella stessa stanza. Ma in questo caso si capisce, con sensibilità, che è necessario non essere rigidi. Gaia ritrova la sua mamma, adesso sono insieme. Lascia un disegnino di gratitudine per tutti. Per il suo amico Marcello che le è stato, con gli altri, vicino, in lunghe ore di smarrimento. Per la dottoressa Maniscalchi, cioè Tiziana, il primario facente funzione, la comandante in capo del pronto soccorso. E due parole sulla dottoressa Maniscalchi e sui suoi collaboratori vanno dette: questa tremenda guerra è piena di sacrificio, di abnegazione e di dolcezza.
Non è soltanto lavoro, perché lo stipendio non basta a raccontare la generosità con cui i nostri medici, i nostri infermieri, gli operatori socio sanitari e tutto il personale, già abituato alla trincea, stanno affrontando la tempesta. Spesso, rimettendoci in prima persona.

Pronto soccorso, una ventina di positivi

“Abbiamo avuto fin qui una ventina di positivi tra di noi – racconta la dottoressa Maniscalchi -, ma voglio sottolineare la forza della squadra che mi sostiene. Si è creato un clima di totale e reciproca solidarietà per cui si accetta di essere positivi, senza lamentarsi o recriminare, e l’ambiente ti protegge. Quando qualcuno si contagia, gli altri lo confortano, lo aiutano. E chi torna disponibile, dopo la malattia, non aspetta un giorno in più, vuole subito essere riammesso in servizio, preme per impegnarsi di nuovo in corsia. Senza questi ragazzi, io potrei fare ben poco”. Sono appunto le parole di un comandante in capo che sa di essere tale quando viene riconosciuto sul campo.
Le storie di contagi nelle schiere di chi indossa il camice ci sono, al pronto soccorso del ‘Cervello’ finora non sono state gravissime, ma hanno un peso nell’esistenza di tutti. Come nella vita di quella dottoressa che, dopo il tampone positivo, si è isolata in cantina e parla con la famiglia grazie alla video-chiamata. Sono così, i ragazzi del ‘Cervello’, forti e capaci di nascondere le lacrime. Sono così, le ragazze e i ragazzi meravigliosi che, ogni giorno, portano la croce e la speranza di una lotta senza respiro.


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