Il caso dei giovani ricoverati: “Questi ragazzi stanno lottando” - Live Sicilia

Il caso dei giovani ricoverati: “Questi ragazzi stanno lottando”

L'atleta, il 23enne e il 31enne. Una città intera col fiato sospeso, dopo la morte del 29enne Samuel Garozzo.
CORONAVIRUS - CATANIA
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CATANIA – “Questi ragazzi stanno lottando”. Voci dal reparto della speranza, voci dal Garibaldi, dove medici specialistici stanno combattendo, ogni giorno, in prima linea e si sono abituati a vedere, dietro le maschere o, addirittura, intubati, sempre più giovani al fianco degli ultraottantenni.

Una grande famiglia

Dopo il decesso del 29enne Samuel Garozzo, al Garibaldi li considerano come componenti della grande famiglia di infermieri e medici che hanno trasformato quel reparto nella loro casa. E in questa battaglia ci sono loro, in prima linea, i ragazzi ricoverati in gravi condizioni, tra momenti difficili e qualche speranza.

Segnali di miglioramento

Dall’arrivo in gravi condizioni, all’ospedale Garibaldi, al superamento della fase più critica. Il 23enne e il 31enne ricoverati al Garibaldi stanno meglio. In particolare, il 23enne non si trova più in terapia intensiva. È stato trasferito, i polmoni hanno ripreso a funzionare e in ospedale, per loro, tirano un sospiro di sollievo.

L’atleta

Maurizio Jack Giustolisi, 44 anni, atleta e dipendente St Microelectronics, è stato il primo dei ricoverati, senza alcuna patologia, in gravi condizioni. Lavoratore amato da molti colleghi e atleta con grande passione dello sport. Il segretario della Ugl Angelo Mazzeo ha lanciato, alcuni giorni fa, un appello alla raccolta di plasma iperimmune. Una speranza per questo quarantenne che si trova, ancora oggi, in gravi condizioni.

La speranza dell’Ecmo

Giustolisi si trova in un reparto particolare: quello Ecmo, dove si pratica l’ossigenazione extracorporea.

“Un sistema — ha spiegato a LiveSicilia il direttore del reparto di Anestesia e Rianimazione Salvo Nicosia – permette di sostituire la funzione respiratoria dei polmoni ed ossigenare il sangue. Non è uno strumento terapeutico – chiarisce il rianimatore – ma serve a guadagnare tempo in attesa che il polmone superi la fase più acuta. È una tecnica molto aggressiva, utilizzata solo in casi specifici”.

È l’ultima speranza per questo ragazzo che, oggi più che mai, sta lottando.

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