PALERMO- Le notizie sul Covid si rincorrono, come i numeri e le percentuali. E non sono buone. Qualcuno dice, magari sui social: non creiamo allarmismi. Ma, purtroppo, è la situazione che risulta allarmante, nelle statistiche, come nelle esperienze. I contagi, a Palermo, in Sicilia, aumentano. Chi lavora sul campo vede con i propri occhi quanto sia difficile questo momento.
“La situazione è seria”
“La situazione è seria – dice la dottoressa Tiziana Maniscalchi, facente funzione del primario al pronto soccorso dell’ospedale ‘Cervello’ di Palermo – e ci vuole assoluta prudenza. Anche chi risulta negativo al tampone dovrebbe restare a casa, se può. Sappiamo che tantissimi pazienti, che si rivolgono al pronto soccorso per un altro motivo, scoprono di avere contratto il virus. Il contagio, sia pure in maniera minore, non risparmia i giovanissimi, forse per via delle varianti e che hanno un altissimo tasso di diffusione e rappresentano un rischio in più. Certo, ci siamo vaccinando, ma ci vorranno i tempi tecnici e la nostra vita non tornerà come era per qualche anno. Sarà necessario organizzarsi e imparare”.
Il grido dagli ospedali
Quello che giunge dagli ospedali è un vero e proprio grido, nel divampare, praticamente ovunque, di focolai. Ancora una volta, nessun allarmismo. Soltanto la cruda realtà. I camici di qualunque colore e di qualsiasi corsia sperimentano, in presa diretta, la ripresa della seconda ondata o l’incipit della terza, cambia poco. Non è stata colpa delle feste in quanto tali, ma degli atteggiamenti irresponsabili in calce a regole confuse. Il dottore Renato Costa, commissario per l’emergenza Covid a Palermo e in Sicilia, parla di ‘pentiti del cenone’, cioè di persone che si sottopongono al test rapido, tra i padiglioni della Fiera del Mediterraneo, consapevoli di non avere rispettato quella prudenza chiamata in causa dalla dottoressa Maniscalchi e dai suoi colleghi. Un professionista scrupoloso e ponderato come il dottore Aurelio Puleo, primario del pronto soccorso di Villa Sofia, è stato esplicito: “Per strada ho visto tanta gente assembrata, molti giovani, anche senza precauzioni. Sono preoccupato e arrabbiato, così rischiamo seriamente di vanificare i sacrifici di tutti”.
I ragazzi che lavorano in Fiera
Una mattina alla Fiera del Mediterraneo per un test rapido svela un’organizzazione impeccabile. Macchine in fila, suddivise secondo sicurezza e funzionalità. L’uomo in portineria che, meritoriamente, sgrida i viandanti troppo ravvicinati. E poi il giovane personale sanitario che il dottore Costa ha voluto con sé per il servizio di tracciamento. Sono ragazzi che affrontano turni pesanti, bardati con la consueta armatura da marziani in transito sulla terra. Non è facile sopportare per ore la mascherina, lo ‘shield’ e la copertura, infilando bastoncini nel naso di esaminandi talvolta irrequieti. Eppure – almeno questo è il dato che registriamo – mai una parola che non sia meno che cortese, mai un gesto inappropriato.
Ma fuori il liberi tutti
E’ lo spettacolo che si presenta agli occhi, appena usciti o non ancora entrati, a destare più di un sobbalzo. Gruppetti di ragazzi con la mascherina abbassata, imitati da adulti che li superano nella filosofia del ‘liberi tutti’. E non in una occasione, spesso. Parecchi sono coloro che non seguono le più elementari precauzioni, come se la tragedia in corso non esistesse, come se gli ospedali non fossero pieni di vittime e di sofferenza. Dopo i ‘pentiti’ del cenone si sta registrando un rialzo della pandemia che accresce il sentimento della nostra fragilità. Cosa non è sufficientemente chiaro?