Alessandro, il professore guarito dal Covid: "Pensiamo a salvare vite"

Il professore guarito dal Covid: “Pensiamo a salvare vite”

La storia di Alessandro Picciotto, docente di matematica: "Ho visto l'inferno".

PALERMO Il professore Alessandro Picciotto, che insegna matematica e fisica in un liceo palermitano, è un giovane uomo che ha attraversato l’inferno del Covid per sbucare dall’altra parte. Lui racconta qui di questo lieto epilogo, a due mesi dalle dimissioni, e lo fa con parole che lasciano intravvedere una bellissima sensibilità, unita alla generosità della narrazione. Non a caso, i tanti che gli vogliono bene hanno seguito la sua vicenda, prima con dolorosa apprensione, poi con autentico sollievo.

“Il contagio? Credo a scuola”

“Ancora non sto benissimo – racconta Alessandro – ho trascorso quasi un mese in ospedale in terapia intensiva. Dove può essere avvenuto il contagio del Covid? Secondo me è molto probabile che sia stato a scuola, quando le lezioni erano ancora in presenza, ma non per colpa della negligenza di qualcuno, dato che nel mio istituto le misure di sicurezza sono state applicate e osservate con assoluto rigore. Credo, però, che sia normale pensare di essere a rischio se si è in molti a condividere gli stessi spazi e per tempi prolungati, nonostante la buona volontà di tutti, le protezioni e l’impegno che nel mondo scolastico non mancano di certo, anzi. Sull’istruzione c’è un dibattito spesso ideologico, ma questa è un’altra storia. Ho provato sulla mia pelle quanto il Covid sia un vero inferno: la cosa essenziale in certi periodi è però salvare vite umane”.

“Il Covid è un inferno”

La cronaca di quel viaggio comincia dai ringraziamenti. “Sì – continua Alessandro – sarò sempre grato ai medici, agli infermieri, ai fisioterapisti e a tutto il personale del reparto UTIR dell’ospedale ‘Cervello’ in cui sono stato ricoverato. Un abbraccio va al responsabile, il dottore Giuseppe Arcoleo”. Il dottore Arcoleo, come i suoi colleghi in trincea, è un uomo, giustamente, al centro delle benedizioni di tutti. Dunque, l’inferno: “Ho visto troppe persone morire accanto al mio letto, forse sette, ed è una morte davvero orrenda. Si muore da soli, senza nessuno dei tuoi cari accanto, nell’impossibilità di comunicare con coloro che ami. E questo aggiunge pena alla pena. Per un mese circa ho visto e sentito soltanto occhi e voci delle persone che in ogni istante si prodigavano per il mio salvataggio, niente di più, avvolti com’erano nelle loro tute di protezione, e non potrei riconoscere nessuno di loro, nemmeno incontrandoli per caso altrove. Per un mese non ho dormito mai e, quando dico mai, intendo nemmeno per cinque minuti. Non ho chiuso letteralmente occhio, per la tensione e per i farmaci, come il cortisone, che mi hanno salvato la vita, ma, difficile forse da spiegare, oltre alla sofferenza della malattia, non posso dire che mi sentissi particolarmente stanco”.

La battaglia per la vita

Non c’era stanchezza, istante per istante, nella battaglia disperata per la vita. Chi sopravvive è segnato dalle cicatrici, qualunque sia il campo della lotta. Alessandro Picciotto prosegue: “Sono uscito dall’ospedale che quasi non mi reggevo in piedi, non riuscivo a fare nulla senza fatica, nemmeno uno shampoo. Ora sto meglio e la situazione complessiva è avviata lentamente verso la normalità. Il pieno recupero procede grazie al gruppo di bravissimi fisioterapisti che già in ospedale aveva iniziato a curare la mia ripresa, sia motoria sia respiratoria, e che non mi ha mai mollato un solo istante fin dal mio primo giorno a casa; ancora oggi mi segue quotidianamente in particolare con la fisioterapia respiratoria, sicuramente importante per la riabilitazione completa dei polmoni, perché il Covid, oltre ad essere un maledetto cecchino, assesta anche svariati colpi di coda prima di mollarti definitivamente. Quando ho ripreso a mangiare, semolino e pastine da neonato appena svezzato, dopo quasi venti giorni di nutrizione parenterale totale, ricordo di essermi sentito rinascere come un bambino, e ricordo anche quando ho pensato di fare la mia prima barba da solo, dopo che la fase critica era appena superata, ed è stato l’inizio di una lenta riappropriazione del mio corpo e dell’immagine di me stesso, riprese proprio lì dove erano state interrotte bruscamente”.

“Grazie a tutti”

Alessandro, ancora in ospedale, scriveva su Facebook con l’abilità di un vero scrittore. “E poi c’è stata l’energia misteriosa arrivata sotto ogni forma da tutte le persone che mi amano e che amo: ho scoperto che sono un vero fortunato perché la legione è davvero enorme. Su quel letto di morte a me è arrivato tutto in ogni forma possibile: energia di vita, preghiere, amore, pensieri, io ho sentito arrivare tutto. Questa rete energetica mi ha sorretto specialmente quando ero allo stremo. La rete creata dalla mia meravigliosa famiglia, dalla mia mamma da mia sorella dalla mia stupenda compagna che ha dato coraggio e forza a tutti come lei soltanto sa fare, dai miei amici meravigliosi che ho sempre amato che non mi hanno mollato mai un secondo, e alimentata da tutte le persone che mi amano da sempre e da poco, dai miei meravigliosi alunni di ogni mia era scolastica e da tutti i compagni di lavoro della mia vita”. Adesso il dolore è un’eco terribile nello specchietto retrovisore dell’anima. La vita è rinata con il respiro e canta l’amore in tutte le sue forme. Alessandro che ha attraversato l’inferno, sbucando dall’altra parte. Bentornato, Prof

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