Ucciso e sepolto sotto i rifiuti. Pg: "Confermare le condanne" - Live Sicilia

Ucciso e sepolto sotto i rifiuti. Pg: “Confermare le condanne”

L'inquietante omicidio di Santo Gallo commesso nel 2002.
IL PROCESSO D'APPELLO
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CATANIA – Santo Massimo Gallo è stato ammazzato nel 2002. Un delitto inquietante. Un omicidio senza cadavere. Ma forse, a dire di due pentiti, quel corpo crivellato di pallottole sarebbe stato seppellito tra i rifiuti della discarica della Sicula Trasporti. Alcuni dei massimi esponenti del clan Nardo di Lentini come il boss Michele D’Avola, Fabrizio Iachininoto, Paolo Sebastiano Furnò e Francesco Insolia sono stati condannati a 30 anni di reclusione per questo fatto di sangue così agghiacciante. La chiave di volta per quella indagine sono state le dichiarazioni di Alfio Ruggeri: che per lo status il collaboratore è stato condannato a 10 anni. 

La sentenza è stata impugnata dalle difese e così si è aperto il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catania, presieduta dal giudice Rosario Cuteri. L’istruttoria dibattimentale è stata riaperta: il sostituto procuratore Antonio Nicastro ha infatti chiesto l’esame del nuovo pentito Delfo Amarindo, ex dipendente della Sicula Trasporti e coinvolto nel procedimento che vede imputato l’imprenditore del colosso dei rifiuti Leonardi. Il collaboratore – rispondendo alle domande del pg – ha raccontato quella notte dell’orrore in cui Santo Gallo è stato ammazzato davanti ai suoi occhi. Il cadavere sarebbe stato buttato nella discarica e sarebbe stato ricoperto con altra immondizia. Anche la pistola usata per uccidere sarebbe stata gettata tra i rifiuti. Su richiesta della difesa, che ha notato alcune incongruenze tra il raconto di Ruggeri e Amarindo, si è svolto anche un confronto tra i due testi chiave del processo. 

Nicastro, al termine della sua requisitoria discussa nel corso dell’ultima udienza, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado nei confronti di tutti gli imputati. Nel corso della discussione il pg ha inoltre tirato fuori un ordine di arresto del 2002 che coinvolgeva Iachininoto e Amarindo per la latitanza del boss Alfio Sambasile. Un modo per smentire le dichiarazioni rese dall’imputato che ha affermato di non aver “mai avuto nulla a che fare con Amarindo”. 

Nella prossima udienza, fissata per metà febbraio, sarà il turno degli avvocati difensori. Una volta terminate le arringhe la Corte d’Assise d’Appello si ritirerà in camera di consiglio per arrivare a un verdetto. 

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