CATANIA – L’orologio segna le 10.05. Inizia la registrazione. Salvatore Castorina è seduto davanti alle pm Antonella Barrera e Barbara Tiziana Laudani. Il 28 aprile 2021, appena una manciata di giorni fa, uno degli uomini ritenuti più addentrati nelle dinamiche di uno dei gruppi del clan Cappello-Bonaccorsi ha deciso di vuotare il sacco. È la prima prova. Le sue dichiarazioni dovranno essere riscontrate e soprattutto dovranno avere il timbro dell’attendibilità. È cominciato il quel momento il percorso di Salvatore Castorina per diventare collaboratore di giustizia.
Leggendo i verbali – che LiveSicilia pubblica in esclusiva – è possibile notare il modo di comunicare dei criminali. Il verbo “lavorare” è molto utilizzato per indicare, ad esempio, lo spaccio. Come se vendere droga fosse una professione e non un crimine.
Ma torniamo alle dichiarazioni di Castorina. Che in prima battuta ammette le contestazioni che gli sono mosse nel processo Camaleonte, frutto della maxi operazione che lo scorso anno ha fatto scattare le manette a boss, gregari e soldati del clan Cappello-Bonaccorsi. Anzi fa un passaggio in più Castorina: “Io lavoravo in questa associazione finalizzata al traffico di stupefacenti già dal 2015”. L’associazione a cui fa riferimento il dichiarante è quella che sarebbe gestita dal boss di Monte Po Mario Strano. Che Castorina conoscerebbe benissimo. “Posso dire che è effettivamente un Camaleonte, perché anche nei nostri confronti si mostrava di poter gestire ottimi rapporti anche con la famiglia Santapaola, ma era allo stesso tempo con le spalle coperte presentandosi quale Carateddu (nomignolo mafioso dei Bonaccorsi)”. E aggiunge: “Strano era molto attivo nel narcotraffico e io lo collaboravo attivamente sapendo bene che lo Strano era comunque un appartenente al clan Cappello-Carateddi che foraggiava gli incassi del traffico”. Frase che però stride con quando ha raccontato lo stesso Strano ai magistrati, ma in qualità di semplice interrogatorio. Il boss ha chiarito, in modo molto forte: “Chi è Cosa nostra non può transitare nei Cappello”.
Castorina ha davanti un album fotografico, immagine dopo immagine ricostruisce alle pm chi sono i “capi indiscussi del clan Cappello”. “Il Carrozziere è a tutt’oggi leader del suo gruppo, pur dovendo riconoscere la superiorità di Salvuccio u ciuraru”. Insomma Massimiliano Salvo, nonostante la detenzione al 41bis e le sue lettere di ammissione e dissociazione, avrebbe ancora un “gruppo operativo” (almeno fino allo scorso anno, quando è scattato il blitz Camaleonte). Ma il reggente – anche per diritto di parentela – sarebbe Salvatore Lombardo, cugino del padrino Turi Cappello. “Giovanni Pantellaro all’interno del clan Cappello-Carateddi ha un ruolo di responsabile”, spiega ancora appena gli mostrano un’altra foto. Nuccio Balbo, da quello che invece riferisce Castorina, non avrebbe da qualche tempo il peso di una volta. “Prima dell’incidente era un soggetto di altissimo livello all’interno del clan Cappello- Carateddi come referente per la zona dell’aeroporto”. Nella cupola avrebbe avuto un ruolo anche Concetto Bonaccorsi, figlio di Ignazio e nipote del suo omonimo oggi collaboratore di giustizia. Lo zio e il figlio Salvuccio (anche lui pentito) sono stati pubblicamente “rinnegati” dai familiari. “Concetto prendeva parola per la famiglia Bonaccorsi all’interno del clan”, racconta Castorina. I legami di sangue, ancora una volta, nella mafia contano.