Processo Trattativa, ultime curve: Dell'Utri in Aula, ora l'attesa

Processo Trattativa, ultime curve: Dell’Utri in Aula, ora l’attesa

Giudici in camera di consiglio a Palermo

PALERMO – Penultimo atto del processo di secondo grado sulla cosiddetta ‘trattativa’ tra lo Stato e la mafia. La Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, si è ritirata in camera di consiglio: dovrà decidere sul destino giudiziario degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, del pentito Giovanni Brusca, dell’ex senatore Marcello Dell’Utri e dei boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà.

La difesa: “Le accuse? Mix di suggestioni”

Nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo oggi era presente anche Dell’Utri, che ha ascoltato la replica del proprio legale, avvocato Francesco Centonze. Il legale ha parlato di “mix di suggestioni create dall’accusa per provare a ribaltare una sentenza definitiva”, alludendo al verdetto che ha scagionato l’ex senatore azzurro dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per il periodo successivo al 1992. Il legale, come riferito dall’Ansa, ha definito “deduzioni prive di dimostrazioni e mere massime di esperienza” le argomentazioni dell’accusa.

“Il governo Berlusconi si oppose alla mafia”

In aula, da parte del legale dell’ex senatore di Forza Italia, anche un riferimento alle parentesi di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi: “Il governo Berlusconi si è opposto a provvedimenti favorevoli all’organizzazione mafiosa e questo emerge documentalmente dalle carte della presidenza del Consiglio depositate al processo”. Centonze ha parlato di frasi “velenose” dette dall’accusa, “emblematiche di una debolezza” dell’impianto della Procura generale.

Patto con la mafia o no?

Il nodo, come tutti gli altri relativi a questo processo, verrà sciolto tra qualche giorno, quando i giudici ultimeranno la loro camera di consiglio. Dovranno decidere se, come afferma l’accusa, ci fu uno “scellerato e melmoso patto con la mafia” o meno. I sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbera, nel solco dei colleghi che hanno sostenuto l’accusa in primo grado, non hanno alcun dubbio: “Uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato una illecita e illegittima interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra per interrompere la strategia stragista”.

La sentenza di primo grado

Il 20 aprile 2018 la Corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto aveva inflitto in primo grado 28 anni di carcere a Bagarella, 12 a Dell’Utri, agli ex vertici del Ros e al medico di Totò Riina. Otto anni, invece, a De Donno. Tutti erano stati ritenuti colpevoli di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.
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