Amministrative, Fava: “Vince un metodo, perde una maggioranza” - Live Sicilia

Amministrative, Fava: “Vince un metodo, perde una maggioranza”

Il deputato pungola gli alleati sui tempi di costruzione del percorso delle prossime regionali.
L'INTERVISTA
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PALERMO – “Vince un metodo, perde una maggioranza”. Il giudizio sul responso delle urne del presidente della commissione antimafia regionale, Claudio Fava, è netto. Al centro del ragionamento c’è, neanche a dirlo, la vittoria della coalizione giallorossa a Caltagirone. Fava, stanco della situazione alla “aspettando Godot”, coglie la palla al balzo e lancia un messaggio chiaro ai compagni di strada che tuttora tergiversano sul tema del candidato alla presidenza della Regione: bisogna fare presto. Fava rinnova la propria disponibilità a candidarsi o in alternativa a correre alle primarie (ma a determinate condizioni). E sferra qualche colpo di fioretto ai dirigenti dei partiti alleati. 

Partiamo dal risultato della prima tornata delle amministrative. Secondo lei chi vince e chi perde.

Vince un metodo e perde una maggioranza. Il metodo è quello di costruire coalizioni coerenti che in comune hanno uno stile, un linguaggio e una visione.  Dove questo accade si vince bene. L’altro messaggio, che arriva da queste elezioni, è che il governo è al capolinea perché quando una maggioranza non riesce a imporsi nemmeno nelle città che governava nonostante abbia la simmetria con il governo palermitano è un giudizio che riguarda anche Musumeci e la sua giunta. Insomma, il risultato di Caltagirone è un de profundis per Musumeci anche perché quella è la sua zona e quello era il suo candidato. 

All’indomani del voto in tanti nel centrosinistra hanno parlato di modello Caltagirone da applicare alle regionali. Secondo lei avete tutti in testa lo stesso modello?

Bisogna capire se abbiamo in mente tutti la stessa cosa. Posso dire quello che ho in mente io. Nel modello Caltagirone  non vedo soltanto il fatto che abbiamo vinto ma il fatto che abbiamo vinto perché stavamo insieme con uno schieramento credibile, molto aperto al civismo e alla società non politicizzata. Se avessimo messo insieme solo tre o quattro liste era una cosa, invece abbiamo messo insieme anche il racconto di esperienze di impegno civico e civile di quella città. Inoltre, abbiamo scelto un candidato credibile senza tenerlo sulla graticola e la sua credibilità non dipendeva dal fatto che aveva avuto il visto della curia romana ma che aveva una sua credibilità legata alla sua storia personale. La sua non è la storia di uomo di partito. Fabio Roccuzzo è un uomo che ha vissuto accanto, dentro, in un mondo dell’impegno democratico e del centrosinistra ma non è il prodotto di un ceto politico. E poi è partito un anno fa: una cosa che forse a qualcuno non è arrivata. A Caltagirone vinciamo perché la campagna elettorale è durata un anno, a Vittoria vinceremo perché la campagna è durata un anno e mezzo. Dove il candidato lo abbiamo scelto un mese prima perdiamo. 

Mi ricollego all’evidente parallelismo tra queste candidature e la sua che è ancora sul tavolo. Lei ha fatto un riferimento alla curia romana: le chiedo due cose. Secondo lei le primarie sono uno strumento utile? Non teme di essere penalizzato dal fatto di non avere un partito alle spalle?

Le primarie sono un rimedio al fatto che alcuni dirigenti politici ai quali è stata offerta la mia candidatura continuano a non dire sì ma nemmeno a spiegare il perché. Non dicono ad esempio “è una bella candidatura ma noi ne abbiamo un’altra: dobbiamo fare le primarie”. C’è una questione che viene chiamata di metodo, una parola a tratti tragicamente ridicola in alcuni casi. “Non ci sono altri candidati, ma non possiamo convergere sulla tua candidatura”. Io ritengo, con assoluta e onesta sincerità, significativamente forte dal punto di vista elettorale. In alternativa di questa disponibilità è chiaro che le primarie sono l’unica alternativa, ma se vengono fatte adesso non tra sei mesi. Possono essere un modo per lanciare e consolidare il percorso della campagna elettorale. Quanto all’idea che io non abbia strutture organizzate di partiti sono abbastanza scettico. Credo che primarie aperte, realmente aperte ai siciliani e non ai militanti militarizzati, sono primarie in cui si sceglie la persona e non l’appartenenza. E su questo io mi sento abbastanza sicuro. 

Prima delle regionali, c’è l’appuntamento con le comunali di Palermo. Che fare?

Provare a discutere non nel chiuso di un saloncino.  Provare a capire che in questi anni Palermo ha maturato esperienze di impegno sociale e civismo di straordinaria efficacia e non sempre e non tutte legate alle forze politiche. Bisogna provare a coinvolgerle In un ragionamento che però non sia un happening una volta ogni tanto dove li invitiamo come gesto di legittimità: ma coinvolgerle realmente. Penso che la scelta su Palermo debba tenere conto di tutto ciò che questa città ha prodotto di positivo. E forse le cose più positive  sono state prodotte fuori dal Palazzo. Dentro la città. Una città che negli ultimi trent’anni è cresciuta e che oggi propone anche una generazione, figlia di questi trent’anni, che non può essere tenuta ai margini, chiamata ad applaudire e a votare all’occorrenza, ma va chiamata ad avere una funzione di protagonismo civile e oggi anche politico ed elettorale


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