La vicenda legata all’approvazione del Piano dell’offerta formativa regionale ha lasciato sul campo un po’ di macerie. Qualche risentimento. Molte preoccupazioni, poche speranze. La svolta c’è stata, secondo l’assessore regionale alla Formazione e all’Istruzione Mario Centorrino. Una svolta dolorosa, in certi casi, ma, a suo dire, necessaria.
Assessore, il Prof è realtà. Ma è stato pagato a duro prezzo. Ad esempio, i sindacati si sono nettamente spaccati.
“Io ho grande rispetto per i sindacati. Le nostre azioni, in fondo, sono sempre state concertate. Ma a noi tocca prendere le decisioni”.
Lei parla dei sindacati in quanto proprietari di enti o rappresentanti dei lavoratori? Qualche imbarazzo durante i tavoli di concertazione?
“Per noi no. Se c’è qualche imbarazzo, semmai potrebbe essere dei sindacati stessi. Ma dovrebbe chiedere a loro. Noi, come governo, abbiamo il dovere di ascoltare le loro istanze. Ma abbiamo anche il diritto di andare avanti per la nostra strada”.
Quale strada? Il presidente Lombardo tempo fa ha definito quello della Formazione un “campo minato”, quali sono stati gli ostacoli e le criticità maggiori?
“Intanto la dimensione del numero degli operatori. Ottomila persone sono tante, e tra l’altro si muovono in un sistema assai ambiguo”.
In che senso?
“Nel senso che sono dei dipendenti privati ma si comportano come dipendenti pubblici”.
C’è una legge regionale che finanzia gli enti di Formazione…
“Sì, ma nelle aspettative o nella convinzione dei dipendenti degli enti c’è quella di essere o diventare a tutti gli effetti dipendenti della Regione. E non è così”.
E com’è?
“Loro lamentano il ritardo degli stipendi. Ma dimenticano che la Regione non paga stipendi, bensì finanzia progetti formativi”.
Questa gente, però, è stata “assunta” da qualcuno. Lei, come tanti, ritiene che la politica abbia un po’ abusato?
“Non voglio addentrarmi in ricostruzioni storiche. Ritengo però che certamente c’è stato un ciclo in cui la Regione ha speso troppo in questo settore”
Si riferisce all’era Cuffaro?
“Non solo. Certo, per troppo tempo la Regione ha portato avanti la ‘politica della cicala’. E ha creato aspettative e obbligazioni che prima o poi il sistema non sarebbe stato in grado di reggere”.
Cioè?
“Per capirci, è, in piccolo, quello che è accaduto per il debito pubblico in Italia. Direi che per molti anni si è pensato ai padri, e non ai figli”.
I dipendenti del Cefop, unico ente tagliato fuori dal Prof, sono padri o figli?
“Direi che sono ‘padri’, nel senso che hanno vissuto quegli anni. Intendiamoci, i lavoratori hanno la mia totale solidarietà. Ma oggi, regole alla mano, l’ente non può ricevere l’accreditamento”.
Avete pensato a qualche soluzione?
“C’è già qualche tentativo nel ddl che abbiamo presentato all’Ars pochi giorni fa. Ma su questo dovrà esprimersi il Commissario dello Stato. Senza dimenticare che per il 17 giugno attendiamo la sentenza del Tar sulla loro richiesta di riammissione al Prof. Mi risulta, poi, che alcuni di loro si siano rivolti al tribunale per chiedere un’amministrazione controllata dell’ente”.
Il futuro prossimo potrebbe essere il transito nel “Fondo di garanzia”. Non è forse, anche questa, una “bomba a orologeria?”. Dopo i 36 mesi, queste persone che faranno?
“Il Fondo è uno strumento di welfare come può essere la cassa integrazione o altri. Sono interventi utili in momenti specifici e ristretti. È chiaro che questa fase deve essere superata con forme di rilancio e di riqualificazione”.