PALERMO – “Mia madre si poteva salvare”, ripete Romina Gelardi, la figlia di Maria Ruggia, l’anziana morta dopo essere rimasta otto giorni su una barella al pronto soccorso dell’ospedale Ingrassia di Palermo.
Si rammarica per averla accompagnata nella struttura sanitaria di corso Calatafimi: “Ho chiesto scusa a mia madre per averla portata lì. Mi sono sentita in colpa perché penso che noi siamo responsabili anche delle scelte che facciamo. Io ho scelto questo ospedale, anche se in verità è l’ospedale più vicino, quindi per me un ospedale vale l’altro perché penso dovrebbe essere così. Ma adesso lo sconsiglio, non porterò più nessuno in questo ospedale”.
Sarà l’inchiesta della magistratura a stabilire se ci sia una correlazione fra il decesso e l’operato dei sanitari. Gelardi non si dà pace: “Farò di tutto per scoprire cosa è successo perché spero che la giustizia faccia il suo corso. Secondo me ha contratto un’infezione proprio al pronto soccorso”.
Nel certificato di morte c’è scritto “shock settico”, solitamente provocato da agenti infettivi esterni, principalmente batteri. Sono tutti elementi che solo gli esperti potranno valutare.
La convinzione della figlia deriva dal fatto che “c’è stato un peggioramento dopo un’iniziale miglioramento, aveva anche difficoltà respiratorie. Mia madre non è entrata per questo motivo (aveva inappetenza e vomitava ndr) – aggiunge la donna -. I medici mi dicevano che aspettavano di portarla in reparto perché soltanto lì potevano fare le terapie dovute, perché essendo un pronto soccorso erano molto limitati nel nell’intervenire”.
Sulla trafila sanitaria sta indagando la Procura di Palermo che ha raccolto l’esposto presentato dall’avvocato Andrea Dell’Aira ma anche l’Asp, da cui dipende l’ospedale, che ha avviato un’indagine interna.
La figlia della paziente sottolinea che i medici dell’area di emergenza “non hanno potuto fare nulla, non hanno potuto curare l’insufficienza renale. Questo perché mia madre solo al decimo giorno è stata trasferita in reparto. Secondo me se arrivava prima si poteva salvare e iniziare la terapia, invece dopo poche ore è morta”.
Secondo la figlia, alla donna, 76 anni, paziente oncologica, affetta da cardiopatia, diabetica e con un carcinoma mammario, non sarebbe stata somministrata “adeguata terapia antibiotica preventiva”.