PALERMO – La prima uscita pubblica di Claudio Fava dopo aver strigliato gli alleati è in grande stile: una conferenza a Palazzo Steri sui temi della mafia e dell’antimafia. Tra i relatori Fava schiera l’ex presidente della commissione nazionale antimafia Rosi Bindi, Fiammetta Borsellino, Monsignor Pennisi arcivescovo di Monreale, ex procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro e Pietrangelo Buttafuoco (in diretta streaming). Assente giustificato: Walter Veltroni (a causa di un problema di salute). In platea il procuratore Franco Lo Voi e buona parte della deputazione regionale del M5S.
Trent’anni dopo le stragi, mafia e antimafia vanno ripensate: questo il filo conduttore dell’incontro. Il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè porta i saluti e palude all’operato di Fava. “Un ripensamento dell’antimafia almeno rispetto alla commissione lo abbiamo fatto. L’attuale Commissione è la migliore di sempre (si è creato un buon rapporto tra me e Fava che pure siamo lontanissimi da tanti punti di vista) ha lavorato tanto senza fare sconti a nessuno”, dice Miccichè che non lesina critiche a una certa antimafia che aveva obiettivi di tipo personalistico che viveva dello scontro continuo. Un’altra epoca. Archiviata.
L’arcivescovo Pennisi mette in guardia dalla mafia che cambia volto ma non perde mordente. “La struttura militare della mafia indebolita non deve fare pensare che sia meno forte, ma ha cambiato pelle è più difficile da individuare ma non è meno pericolosa per lo Stato, per la società e per la Chiesa”, spiega Monsignore Pennisi citando a più riprese l’inascoltata lezione di Sturzo. La Chiesa deve educare i giovani: questa la stella polare del lavoro da portare avanti sulla scorta delle parole di Gesualdo Bufalino: “Per sconfiggere la mafia serve un esercito di maestri elementari”. Buttafuoco, in collegamento, non risparmia stoccate al vecchio corso della “mafia dell’antimafia”. E mette i puntini sulle i. “Il termine antimafia ha avuto un uso malevolo nell’ultimo periodo, l’uso strumentale dell’antimafia è cosa diversa dalla lotta alla mafia”, spiega ripercorrendo le vicende che hanno macchiato la nobiltà propria di chi ha combattuto in prima linea.
Spataro ripercorre le tappe della sua carriera per analizzare i rapporti tra criminalità organizzata e istituzioni e sui modelli di indagine messi a punto da Falcone per contrastare il fenomeno mafioso. Una carrellata utile per inquadrare l’evoluzione del fenomeno e incasellare la discussione sui binari del diritto. Fiammetta Borsellino con la passione che la contraddistingue ha parlato delle menzogne relative alle ricostruzioni della strage di via D’Amelio (“una ferita ancora aperta”). “Per l’alta funzione che l’antimafia è chiamata a svolgere non può non essere disinteressata e farsi essa stessa potere: il suo campo d’azione in caso contrario viene fortemente circoscritto e questo non deve accadere”, dice e cita i “casi Montante e Saguto”. “Non può essere trampolino di lancio per facili carriere”, attacca Borsellino che plaude al lavoro della Commissione presieduta da Fava che ha puntato i riflettori “sul depistaggio della strage di via D’Amelio”.
Rosi Bindi invita a guardare anche l’altro lato della medaglia. “Il movimento antimafia in Italia ha dato un contributo molto importante, se ci sono state delle deviazioni vanno chiamate per nome ma dobbiamo ringraziare il nostro Paese per quello che è stato fatto in questi anni”, argomenta Bindi. “Sono stati fatti passi importanti, l’obiettivo oggi è fare luce su quello che è accaduto e su quanto la mafia ha determinato nella storia del nostro Paese”, dice. Un compito che spetta alla politica secondo l’ex presidente della Commissione e mette in guardia dal fatto che la mafia sia divenuta “velata”. Senza ricorrere alla violenza anche perché trova maggiore complicità e interlocutori a vari livelli (spesso le vittime diventano complici). E richiama a una maggiore etica nei comportamenti individuali e istituzionali: “Bisogna prima di tutto cambiare la società”. Poi interviene Fava.
“Gli strumenti di quarant’anni fa erano legati a quel tempo: ad esempio la parola nell’epoca in cui vigeva il silenzio”, argomenta. “Oggi dire che la mafia fa schifo ha perso la sua valenza rivoluzionaria come quando lo faceva Peppino Impastato, quando Cuffaro lo dice oggi in campagna elettorale è acqua fresca”, dice Fava. La rotta da seguire è invertire i rapporti di forza. “Siamo rimasti fermi a un mito ed è una strada pericolosa”, spiega. “Dall’altra parte c’è invece grande pragmatismo e ad avere consenso mentre noi siamo fermi dentro alla nostra contemplazione”, aggiunge Fava che poi dice un’amara verità. “Dobbiamo seppellire i morti, torniamo al mito di Antigone: accompagniamoli con la verità e l’affermazione di fatti e verifiche non una bandiera da issare sul pennone”, continua. “Il racconto deve diventare vita, altrimenti i morti diventano liturgia”, dice. “L’antimafia oggi è l’associazione che va a vedere se i beni sequestrati alla mafia lo sono davvero e se da lì si può costruire qualcosa”, ammette Fava. “Questo lascia un segno”, dice Fava e indica la strada da imboccare. “La verità non è una mitologia ma deve essere carica di dubbi”.