Sotto il cielo di Lampedusa, lì dove poteva esserci una stella cometa pudicamente mischiata alle altre, la dottoressa Veronica ha sentito la voce di Fatima, bimba ivoriana appena nata, e ha capito che stava andando tutto bene. E’ la storia che abbiamo raccontato ieri, quella di un piccolo e bellissimo essere umano, partorito su una motovedetta. Una storia semplice, come in fondo sono semplici i miracoli. Purché ci sia chi riesce a realizzarli.
Veronica Billeci, medico dell’emergenza, si schermisce dietro la forza del collettivo. “Noi è la parola che conta in situazione del genere – spiega –. La dottoressa Angela Ferruzza, la rianimatrice del 118, ha guidato la squadra per il parto. Come abbiamo fatto? Con i mezzi a disposizione e immaginando sempre che possa accadere il peggio. Solo così sei pronto ad affrontare ogni eventualità”.
“Non avevamo nessuna informazione preliminare – spiega la dottoressa Billeci -. Poi abbiamo capito che la mamma viaggiava con un primo figlio, un bambino. E che avevano affrontato la traversata senza il papà. Abbiamo vissuto momenti di tensione molto intensi”.
Ed è accaduto quel miracolo: “Fatima è venuta al mondo, urlando, come fanno i bambini. Ci siamo sentiti pervadere dalla felicità e, con la bimba, è nato anche un applauso spontaneo. La situazione era estremamente rischiosa, perché una motovedetta non è certamente il luogo ideale per fare nascere qualcuno. Poche ora prima, purtroppo, era morta una bambina di due anni e noi c’eravamo e abbiamo tentato l’impossibile”.
Stavolta, sotto il cielo di Lampedusa, è andata diversamente. Il dolore e la gioia sono sentimenti lancinanti nell’isola che sa che le persone non sono numeri. E quanta differenza c’è tra il silenzio cupo della morte e il grido gioioso della vita. (Roberto Puglisi)