“Ma guardi, che le posso dire? Ne ho parlato con mio figlio, con i miei studenti. Non credo davvero di poter offrire un contributo originale sulla cattura di Matteo Messina Denaro….”.
Ma poi Costantino Visconti, professore ordinario di Diritto penale e direttore del dipartimento di Scienze politiche di Palermo, dice molte cose. E lasciano tutte il segno.
Cominciamo da quello che è successo nel fatidico giorno, professore?
“Va bene, ero all’Università. Alcuni studenti sono entrati in direzione, dove stavo io, e ci siamo abbracciati. E’ stato un indimenticabile momento di gioia spontanea”.
Dopo?
“Dopo sono tornato a casa. Mio figlio mi ha fatto delle domande: ‘che bello papà, l’hanno preso, ma qualcuno dice che si è consegnato… Tu che ne pensi?’. Abbiamo parlato, abbiamo ascoltato la conferenza stampa dei magistrati e dei carabinieri che sono stati chiarissimi. Non c’è dubbio: siamo davanti a un bel colpo investigativo”.
C’è chi si è soffermato sul fatto che il boss era senza manette.
“Un gesto che ho apprezzato. Una dimostrazione di forza autorevole e di grande civiltà da parte dello Stato. Ma io sono uno che cerca di porsi le domande giuste prima di affidarmi a risposte comode o banali”.
Quali domande, per esempio?
“Perché non siamo in grado di esprimere una corale soddisfazione per la cattura dell’ultimo esponente di un’epoca sanguinaria? Perché c’è chi parte dal presupposto surreale che sia stata quasi una messinscena? Tanti hanno pensato a una trattativa, per usare un termine di moda. Prima c’era la trattativa che giustificava la latitanza, poi la trattativa per spiegare la cattura. Una trattativa perenne, insomma. Perché?”.
Lo chiedo io a lei, professore: perché?
“Perché c’è una sfiducia generale nello Stato. Una forma di diffidenza atavica nei confronti delle istituzioni. Una subcultura che genera sia la mafia che una parte dell’antimafia dei sospetti. C’è una radice di fondo, un vaso comunicante tra chi sta dalla parte dei cattivi e alcuni che, stando dalla parte dei buoni, non riescono a non riempire ogni evento di retro-pensieri complottisti. Questo legame oggettivo è, appunto, la sfiducia nello Stato. Ovviamente distinguo benissimo e conosco la differenza tra amici e nemici della mafia. Ma è un paradosso che riscontro”.
Ancora una volta: perché?
“Credo che il tema della speranza sofferta riguardi soprattutto la mia generazione, quelli che negli anni Ottanta sfilavano nei cortei, da studenti. Abbiamo visto lo Stato in ginocchio, a qualcuno di noi viene complicato credere che si sia rialzato”.
Si è rialzato?
“Mi pare evidente. Grazie a persone, a magistrati e inquirenti, che non pontificano da star sui giornali, che lavorano in silenzio e impediscono la ricostituzione della Cupola, arrestando prima, o che appunto pongono fine alla latitanza dell’ultimo leader della mafia stragista. E raggiungono i risultati. Sa cosa penso? Che, in realtà, ci faccia paura, alle volte…”.
Cosa?
“Ci fa paura la prospettiva di vivere senza mafia. Come se non potessimo psicologicamente rinunciare a un punto di riferimento anche negativo, a una orrenda certezza, ma pur sempre certezza”.
Si può vivere senza mafia? Ci riusciremo mai?
“Oggi Cosa nostra non è più né potente, né ricca, né impunita, seppur ancora pericolosa e non sconfitta definitivamente. Ma disponiamo di una legislazione e di corpi dello Stato tanto attrezzati da poter sperare ragionevolmente di consolidare stabilmente i risultati ottenuti. E con le indagini in corso sulla latitanza di Messina Denaro avremo la possibilità di metterci allo specchio come siciliani e capire chi e come ancora protegge i mafiosi”.
Quindi?
“Quindi siamo nelle condizioni di scrivere un futuro diverso per la nostra terra con una mentalità nuova. Per citare un filosofo tedesco: ‘quali uomini si riveleranno allora i più forti? I più moderati, quelli che non hanno bisogno di articoli di fede estremi’”. (rp)