PALERMO – Di Matteo Messina Denaro ha conosciuto, sono parole sue, il lato “buono”, “spiritoso” ed “educato”. Come se il suo essere uno stragista sanguinario fosse una maschera e non la terribile caratteristica di un’intera esistenza.
Quando Laura Bonafede trascorreva del tempo insieme al boss di Castelvetrano era come “se fossimo una famiglia”. “Un poco anomala” per stessa ammissione della maestra. L’anomalia non consisteva, però, nel ritrovarsi accanto ad un carnefice, ma nel fatto che “non vivevamo insieme”.
La maestra Bonafede ha raccontato la sua vita con Messina Denaro come se fosse una cosa normale. Lo ha fatto la scorsa estate chiedendo di fare dichiarazioni spontanee al processo che si è chiuso oggi con la sua condanna.
Figlia di un mafioso, Leonardo Bonafede. Il suo racconto è partito dalle origini: “Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima però posso dire che né noi figlie e nemmeno mia madre abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo. Posso dire di non aver fatto mai parte di nessuna associazione mafiosa anche perché le donne erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni, da certi contesti”.
“Mi è caduto il mondo addosso”
A metà degli anni Novanta, ha spiegato l’imputata, “mi è caduto il mondo addosso perché la mattina del 26 settembre ’96 hanno arrestato mio padre e la sera hanno arrestato mio marito“. Anche quest’ultimo, Salvatore Gentile, è un mafioso. Sta scontando l’ergastolo per avere commesso un omicidio su ordine di Matteo Messina Denaro.
Chiese la protezione di don Ciccio
“Io ero una ragazza di 29 anni diciamo con poca esperienza della gestione di una famiglia e quello è stato un periodo brutto della mia vita”, ha raccontato. Di fronte a quel baratro, durante un colloquio in carcere, fu lei a chiedere al padre “a chi mi potevo rivolgere nel caso avesse avuto bisogno e gli ho chiesto anche di potermi indirizzare o mettermi in contatto con lo zio Ciccio, lo zio Ciccio è Matteo Messina Denaro lo zio Ciccio sarebbe il padre”. Chiese dunque di godere della protezione di Messina Denaro.
“E arrivò Messina Denaro”
Un giorno di dicembre 1996 “mentre mi trovavo in campagna durante i lavori di potatura arriva una macchina, che era una Opel Corsa, e lì c’erano zio Ciccio, che sarebbe Messina Francesco, e Messina Denaro Matteo, si sono messi a disposizione nel caso io avessi avuto bisogno di qualche cosa, hanno portato dei regali a mia figlia, un computer per bambini, mi hanno rassicurata dicendo che loro erano sempre pronti ad informarsi di come io mi trovavo se avessi difficoltà o se avevo bisogno di qualche cosa”.
Ci furono altri cinque incontri. Poi una pausa, dovuta anche ad un incidente automobilistico avuto dalla donna anche se “Matteo Messina Denaro so che lui si teneva sempre informato delle nostre condizioni”.
Bonafede e Messina Denaro, l’incontro in cartoleria
Laura Bonafede divenne maestra, assunta prima come precaria e poi con contratto a tempo indeterminato. Un giorno “nel 2008 mentre io mi trovavo nella cartoleria a Campobello lui si è fatto riconoscere, Matteo Messina Denaro, io stavo salendo nella mia macchina e lui era nella sua una 500 bianca”.
Iniziarono a vedersi, “abbiamo parlato da tanto tempo che non ci vedevamo, aveva avuto una bambina”. Si muovevano in macchina, sempre attenti alla forma “perché Campobello è sempre un paese piccolo mi conoscevano tutti, io mi trovavo in una posizione anche particolare, con una donna sposata, una donna sola, così mi sono nascosta”. Una cosa è certa: Campobello di Mazara sarà pure un paese piccolo, ma in questi anni nessuno ha notato qualcosa di strano.
Si rannicchiava sul sedile per non farsi vedere, “a quel punto siamo arrivati in una casa, lui è entrato con la macchina, ha chiuso il portone e lì ci siamo incontrati, sono state circa un paio d’ore di assieme a lui. Le serrande erano abbassate e quindi non riusciva a vedere dove mi trovavo”.
“Ha voluto conoscere mia figlia”
Messina Denaro espresse un desiderio: “Voleva conoscere mia figlia, io ho fatto questo errore, ho lasciato la macchina in una strada di Campobello e poi sono salita della sua assieme a Martina, gli ho detto che lui era un amico del nonno che era anche amico di papà, che era stato a Pagliarelli con papà, che adesso si trovava in una situazione particolare perché lo volevano arrestare e un’altra volta. Ma che mi aveva chiesto di conoscerla di rivederla”.
Lezioni di latino a Martina
Successivamente si videro al falò di Ferragosto a Tre Fontane. Nel 2013, però, “quando hanno arrestato sua sorella (Patrizia Messina Denaro ndr)” gli diede una lettera: era meglio non vedersi per un po’. Continuò a incontrarsi con la figlia Martina, di tanto in tanto: “Trascorrevano qualche pomeriggio insieme, studiando, nonostante non avesse conseguito nessuna maturità a lui piaceva molto il latino e quindi la aiutava nella storia e nel latino”.
Ed ecco il lato sentimentale: “Praticamente io ho conosciuto, se me lo consente, un lato buono, il lato divertente, perché lui era una persona spiritosa, educata, divertente e faceva trascorrere quelle ore allontanandomi da quella che era la mia quotidianità che era un poco pesante”.
Laura Bonafede: “L’unico errore della mia vita…”
Parlavano del “fatto che non vedeva sua figlia, che non aveva mai avuto la possibilità di toccarla, di tenerla in braccio, di conoscerla e quindi si era attaccato tra virgolette a mia figlia in sostituzione per questo. Dicevamo che noi eravamo come se fossimo una famiglia un poco anomala perché non vivevamo insieme. Io non ho mai convissuto con Matteo Messina Denaro non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa ho conosciuto quelle che erano le dinamiche perché crescendo una famiglia mafiosa non si può fare a meno di capire quali sono le dinamiche. L’unico errore della mia vita è stato questo di averlo frequentato pur sapendo quello che erano le sue condizioni”.
“Ci incontravamo nel tugurio”
Frequentato e incontrato in un magazzino di campagna dove c’era un albero di limoni: “Lo chiamavamo noi questo posto limoneto e lo chiamavano anche tugurio perché non era altro che un magazzino di campagna con una stanza soltanto con un bagno una parete e c’era la cucina con un armadio da cucina un tavolo grande al centro e poi sull’altro lato dei divani le cose molto accomodata e molto vecchie trascorrevamo quelle ore parlando delle nostre situazioni, con la nostra vita”.
Nel 2017 un nuovo allarme: “Non potevamo andare in nessun posto perché aveva visto delle telecamere vicino alla mia casa”. Nel 2018 si fece trovare “a Castelvetrano che ero a scuola all’uscita, all’una, l’ho trovato vicino alla mia macchina e mi ha dato una lettera e ho incominciato la nostra corrispondenza epistolare”.
“La rumena, la squallida malattia”
Fino al sopraggiungere della malattia, che chiamavano “la rumena”, alle cure alla clinica La Maddalena, soprannominata “la squallida”. Hanno continuato a scriversi, la posta la consegnava “Lorena Lanceri” (di cui Laura Bonafede fa il nome”.
Infine una sorta di appello al giudice: “Le volevo chiedere di valutare la posizione per quella che è. Mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare. Ho finito”. Oggi quel giudice l’ha condannata a 11 anni e 4 mesi.