CATANIA – Droghe a tutte le ore del giorno, armi e un controllo del territorio capillare, basato sull’intimidazione e sulla capacità di decidere tutto quello che succedeva nel piccolo pezzo di Librino che l’organizzazione mafiosa si era preso per sé. È quanto è emerso nell’operazione Terzo Capitolo della Polizia, che nella mattina di martedì 9 aprile ha coinvolto 31 persone con misure cautelari, tra carcere, arresti domiciliari e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
I dettagli sono stati spiegati in una conferenza stampa in Questura con il questore Giuseppe Bellassai, il dirigente della Squadra Mobile Antonio Sfameni e il dirigente della Sezione antidroga Marco Alletto. All’operazione hanno partecipato più di 200 poliziotti, tra personale della Questura di Catania, personale della Squadra Mobile di Messina e personale del Servizio Centrale Operativo.
L’organizzazione mafiosa
Delle 31 persone arrestate nel blitz della Polizia 5 sono accusate di associazione mafiosa. Si tratta di Massimiliano Arena, Marco Turchetti, Rosario Turchetti, Angelo Patanè e Carmelo Alessio Guerra, che avrebbero fatto parte del clan Arena. I responsabili della piazza di spaccio sarebbero stati Marco e Rosario Turchetti, che avrebbero agito come uomini di fiducia di Massimiliano Arena, attualmente detenuto in Calabria ma che avrebbe coordinato le operazioni proprio dal carcere.
La novità è che gli Arena emergono come un gruppo autonomo. Come spiegano i dirigenti della Questura di Catania nel corso della conferenza stampa, gli Arena sono storicamente un’articolazione del clan Nizza, a sua volta affiliato ai Santapaola. Dall’operazione Terzo Capitolo emerge invece che gli Arena sono diventati sempre più autonomi, sia dal punto di vista delle strategie che da quello operativo.
Il controllo del territorio
Secondo la ricostruzione degli investigatori gli Arena avrebbero organizzato una piazza di spaccio ai numeri 12 e 13 di viale Moncada, controllando il territorio al punto da condizionare anche le operazioni di altri spacciatori. Chi voleva muovere droga nella zona di viale Moncada doveva passare per gli Arena, perché era ormai risaputo che ciò che succedeva in quel pezzo di Librino faceva capo a loro.
Ma il controllo non si limitava a decidere chi spacciasse droga nella zona e chi no. In un caso, per punire un “soldato” che operava da vedetta o da pusher, gli uomini degli Arena hanno picchiato l’uomo e poi hanno minacciato di “sfrattare” sua madre dall’appartamento in cui viveva. Il clan inoltre impediva che i criminali lasciassero nel quartiere le auto rubate, per evitare di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.
La piazza di spaccio
Nel viale Moncada si spacciavano grosse quantità di cocaina, crack, marijuana normale e di tipo skunk, potenziata e con effetti simili a quelli delle sostanze allucinogene. Il giro d’affari è stato quantificato in migliaia di euro e a custodire i soldi, secondo gli investigatori, era una donna.
Alla fine di ogni giornata infatti uno dei responsabili della piazza di spaccio, Marco Turchetti, raccoglieva tutto il denaro incassato nella vendita di droga e lo portava nell’appartamento di sua madre Liliana Carbonaro, che avrebbe svolto quindi la funzione di cassiera.
La droga arrivava nella piazza di spaccio anche dal clan Cappello-Bonaccorsi. Com’è d’uso nel traffico di droga catanese, chi spaccia deve comprare una quota, di solito il dieci per cento, dal clan a cui fa capo. Il resto può essere reperito da qualsiasi fornitore, e nel caso della piazza di viale Moncada gestita dagli Arena uno dei canali di rifornimento di droga era Domenico Querulo, esponente del clan Cappello-Bonaccorsi già in carcere per l’operazione Locu del 19 marzo 2024.
Una volta giunta in viale Moncada la droga veniva confezionata nell’appartamento dell’altra donna coinvolta nell’operazione, Elisabetta Toscano, ed era pronta per essere spacciata in due luoghi, i civici 12 e 13, con il secondo in cui si svolgeva il grosso degli affari. La piazza era organizzata con un sistema di vedette, pusher, custodi di droga e capipiazza, che comunicavano tra loro con delle ricetrasmittenti.