Subappalti e morte: strage di Casteldaccia, cosa cercano gli esperti

Strage di Casteldaccia, gli esperti scendono nella camera della morte

Il luogo della strage a Casteldaccia
Si indaga sulla filiera dell'appalto

PALERMO – È il momento di affidarsi agli esperti che scenderanno nell’impianto della morte a Casteldaccia. La Procura di Termini Imerese ha nominato i torinesi Ivo Pavan, docente universitario di Chimica industriale, e l’ingegnere chimico Maurizio Onofrio.

Analizzeranno la documentazione sequestrata dai poliziotti della squadra mobile di Palermo e si caleranno a sei metri di profondità, lì dove sono morti i cinque operai travolti da un’ondata di liquami e gas.

Nel frattempo altri esperti verificheranno cosa è accaduto nella vasca di raccolta e cosa ha provocato la fuoriuscita dell’idrogeno solforato che ha ucciso in pochi secondi i cinque operai. Saranno prelevati campioni di acque reflue per verificare la concentrazione di gas.

La filiera dell’appalto

I poliziotti dalla Mobile, guidati dal dirigente Marco Basile, si concentrano sulla filiera dell’appalto. L’Amap di Palermo (committente dei lavori), la Tek Infrastrutture di San Cipirello (si era aggiudicata un appalto da un milione di euro) e la Quadrifoglio Group di Partinico (aveva una commessa da 100 mila euro in sub appalto) hanno rispettato le regole per lo svolgimento dei lavori?

L’impresa appaltatrice e la subappaltatrice erano in possesso dei requisiti e dei mezzi necessari per l’intervento? L’Amap aveva verificato le credenziali delle imprese a cui si stava affidando? Per i lavori in “ambienti confinati e a rischio chimico” servono ditte e dotazioni specializzate.

Ed invece gli operai, assieme ad uno dei titolari della Quadrifoglio, sono scesi senza alcun dispositivo di protezione. Non indossavano la maschere antigas, non avevano lo strumento per rilevarne la presenza.

Gli indagati sono tre: a Nicolò Di Salvo, titolare della Quadrifoglio, si sono aggiunti Gaetano Rotolo, direttore dei lavori dell’Amap, e Giovanni Anselmo, amministratore unico della Tek Infrastrutture srl di San Cipirello.

Rotolo, la mattina della strage, aprì le porte dell’impianto di sollevamento agli operai che non riuscivano a liberare la fognatura dall’ostruzione. L’intervento era iniziato giorni prima, il 29 aprile.

Decisero di scendere in profondità e intervenire con una sonda. Si sarebbero dovuti limitare ad un intervento in superficie attraverso i tombini. Quella variazione era già prevista visto che Rotolo arrivò presto in cantiere.

La sua presenza non è prevista nell’ambito di un accordo quadro con cantieri in tutta la provincia. La mattina della strage era lì ed ha aperto l’impianto nella doppia veste di direttore dei lavori e di responsabile della sicurezza.

Era stato dunque avvisato delle difficoltà di togliere con una normale operazione di spurgo dai tombini l’ostruzione che rendeva irrespirabile l’aria per i residenti?

“Tombini bloccati dall’asfalto”

A proposito dei tombini: l’intervento degli operai è iniziato il 29 aprile. Gli operai innanzitutto ebbero delle difficoltà a togliere il coperchio del tombino perché era ricoperto dall’asfalto. Difficoltà che il 3 maggio scorso Amap scrisse in una nota inviata al Comune di Casteldaccia, alla Città metropolitana di Palermo e all’Anas.

Spiegava che a partire dal 6 maggio, fino alla fine dei lavori per eliminare l’ostruzione, sarebbe stata eseguita una “ricerca urgente di chiusini fognari coperti da asfalto”. Questa è un’altra storia, nell’impianto di sollevamento, disattivato dall’Amap dopo la strage, hanno trovato la morte cinque persone.


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