PALERMO – Settembre, mese delle riprese e di nuovi inizi. Sembra ancora di sentire il suono della campanella. L’emozione del primo giorno di scuola. Quel giorno desiderato o temuto, accolto con entusiasmo o con fastidio. Mai con indifferenza. Genitori, figli, insegnanti. I primi anni, echi di risate, grida di pianti, parole appena sussurrate. Il sorriso e la preoccupazione nel volto delle madri. In quel tempo in cui gli adulti sono universi misteriosi e lontani. Crescendo, l’emozione del primo giorno non passa.
Le emozioni del primo giorno
Ci si ritrova ad ascoltare quel suono, ciascuno portando con sé il proprio bagaglio di progetti, buoni propositi, aspettative. Chi spera nel primo banco e chi nell’ultimo. Chi già pensa alle vacanze successive e chi, invece, prova ammirazione per Vittorio Alfieri legato alla sedia durante le ore di studio. I genitori che proiettano l’eco dei propri successi (o insuccessi) e che desiderano che i figli siano come loro (o l’esatto opposto). Gli insegnanti che sperano in un anno scolastico sereno, in studenti disciplinati e in genitori alleati.
Ma il mondo non è tutto uguale
Eppure, c’è chi quel suono non lo ha sentito o non lo sente più. In quelle parti del mondo in cui conflitti, povertà e violenza spezzano i sogni dei bambini, dei genitori e degli insegnanti. O vicino a noi, in quelle realtà disagiate caratterizzate da alti tassi di dispersione scolastica nelle quali l’istruzione è un lusso da conquistare.
Solo adesso ti rendi conto della preziosità di quel tintinnio. Solo da adulta comprendi il valore di quegli anni di scuola. Luogo in cui nascono e crescono affetti ed amicizie che, in molti casi, rimarranno per tutta la vita. Tramite della relazione dei più giovani con il mondo. Luogo di studio, di apprendimento e di conoscenza ma anche, e non secondariamente, di crescita, di educazione e di formazione delle coscienze nel quale acquisire le competenze per esercitare con consapevolezza diritti, doveri e responsabilità.
La scuola, forse più della famiglia, è il contesto in cui creare alternative ad un modello che oggi tende ad essere imperante: quello dei privilegi conquistati con il denaro e con l’astuzia; il mito del successo alla portata di chiunque sia minimamente furbo; le scorciatoie per l’affermazione personale. La scuola richiede, invece, disciplina, impegno, costanza, sacrificio. Richiede dedizione e pazienza, con se stessi e con gli altri.
Investire sulla scuola
Queste le ragioni, insieme a tante altre, perché un Paese che si professa avanzato, ricco, emancipato deve investire sull’istituzione scolastica; perché investire sulla scuola è investire sulla società ed, in ultima istanza, sul futuro.
Anzi, sul presente, perché la scuola, la cultura, la formazione ti fanno essere diverso rispetto a come eri prima, scandiscono, insieme a te, la crescita ed il progresso della comunità. Ogni serio e non retorico progetto di investimento passa, innanzitutto, sul riconoscimento del ruolo e dell’importanza degli insegnanti.
E’ inconcepibile che, in Italia, i loro stipendi siano i più bassi d’Europa; che sia presente un esercito di docenti precari la cui precarietà è causa di disagi per gli studenti e per l’intero sistema scolastico, incidendo negativamente anche sulla continuità didattica; che una pletora di insegnanti del Sud sia costretta a lavorare lontano dalla propria terra d’origine, in un contesto in cui, spesso, il costo della vita, senza alcuna rete di sostegno familiare, è superiore allo stesso stipendio percepito.
Ma la scuola è anche spazio, architettura: è ugualmente inammissibile che l’80% delle scuole del territorio italiano sia ubicata in edifici non inizialmente destinati all’attività didattica, senza aree verdi, con palestre improvvisate ed in aule riadattate contenenti numeri di studenti non congrui per le dimensioni degli spazi. Pensi alle scuole dei piccoli paesi dell’Alto Adige che hai visitato: luoghi vivibili, sicuri ed accoglienti, tecnologicamente avanzati e concepiti secondo precisi piani pedagogici. Un uso efficiente delle risorse pubbliche non è, quindi, una chimera.
Si può fare bene, se si vuole. E si deve fare bene soprattutto nel Mezzogiorno in cui, ad esempio, a fronte di una dispersione scolastica più elevata che nel resto d’Italia, la percentuale delle scuole a tempo pieno si assesta su numeri ancora troppo bassi. Con il paradosso, quindi, di non avere quel modello di scuola laddove se ne sente maggiormente bisogno per ragioni economiche e sociali.
La scuola funziona nonostante tutto…
Tante criticità, quindi. Eppure, la scuola, possiamo dirlo, funziona nonostante tutto questo. Funziona per la tenacia di coraggiosi insegnanti che continuano a credere nel valore della propria professione, pur se in contesti precari ed in condizioni di sfiducia e stanchezza. Per l’abnegazione di coloro che credono ancora nell’insegnamento come servizio e che operano con passione e dedizione nonostante la scarsità dei mezzi. Che oltre a trasmettere i contenuti delle materie supportano a muovere consapevolmente i primi passi sul palcoscenico della vita; che comprendono, infine, che ciascun studente è molto più di una crocetta sul test Invalsi.
A loro deve andare stima e sostegno; ed un supporto che richiede un impegno politico e finanziario di lungo termine che possa restituire dignità alla scuola ed alla funzione educativa. “Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno questi tre mesi di vacanza in campagna”, esordisce De Amicis nel suo capolavoro. Si ricomincia, la campanella è suonata. Impegniamoci tutti, genitori, insegnanti, studenti, Istituzioni a rendere armonioso ed ancora più prezioso questo suono.