PALERMO – L’ultimo ad arrendersi al crollo delle entrate è stato Emilio Longo. La sua gioielleria, nel salotto buono della città, viveva dal 1934. Ora su quella vetrina campeggia solo un cartello che annuncia che tutta la merce è in saldo, fino a sabato prossimo. Poi, la saracinesca verrà abbassata per l’ultima volta. E la storica gioielleria Longo di via Ruggero Settimo abbandonerà una città che, giorno dopo giorno, sta perdendo tutti i suoi punti di riferimento. In ogni settore. E chi ha un minimo di memoria storica, ormai non si raccapezza più.
È passato poco più di un mese dalla definitiva chiusura della libreria Flaccovio, dal 1938 in via Ruggero Settimo simbolo della cultura a Palermo. Luogo che ha visto passare Denis Mack Smith, Indro Montanelli, Cesare Zavattini, Renato Guttuso, Mario Soldati. Dove Tomasi di Lampedusa si recava quotidianamente, Leonardo Sciascia dibatteva animatamente e Bruno Caruso creava la prima galleria d’arte. Duecentocinquanta metri quadri, che ora, con ogni probabilità saranno occupati dal marchio di biancheria intima, Tezenis. E quello di via Ruggero Settimo non è l’unico punto vendita a essere stato chiuso. Il marchio amministrato da Sergio e Francesco Flaccovio (da non confondere con la Dario Flaccovio Editore), ha chiuso, infatti, anche il negozio all’interno dell’aeroporto Falcone Borsellino (è imminente la chiusura di quello del centro commerciale Forum), la libreria Dante di via Maqueda e, l’anno scorso, aveva abbassato le saracinesche dei negozi di piazza Vittorio Emanuele Orlando e di via Basile.
Una crisi inarrestabile che sembra non lasciare scampo. E sotto la cui scure sono già caduti la cartoleria De Magistris-Bellotti (il primo punto vendita del negozio di cancelleria era stato aperto a Milano agli inizi del Novecento) che, dopo 106 anni di attività, ha detto addio ai punti vendita di via Gagini, viale Strasburgo e via Leanti, lasciando a casa 24 dipendenti; la valigeria Vitale di via Libertà fondata nel 1909 dai fratelli Andrea e Nicolò e capace negli anni anche di offrire lavoro a oltre 70 dipendenti (negli anni, però, drasticamente ridotti); il negozio di calzature e accessori di lusso Schillaci sempre in via Libertà che ha venduto i locali a un marchio del lusso made in Italy, Gucci, ma soprattutto ha lasciato a casa 5 dipendenti. E poi ancora, la Botteguccia, Tessilcora, l’azienda fondata nel 1947 dalla famiglia Sansone che, dopo 70 anni di attività, ha chiuso lasciando senza lavoro 4 dipendenti (al suo posto, lo scorso autunno ha aperto un Burger King). E andando un po’ più indietro nel tempo, l’elenco si allunga con il negozio dei fratelli Gulì, avviato nel 1923 e per tanti anni leader nella produzione e nella vendita di biancheria, tessuti e indumenti da lavoro; Onofrio Niceta di via Trento che dopo oltre 50 anni di attività ha abbassato le saracinesche; i negozi musicali (Diskery, Ellepi, Cosmosound, Il Musichiere, Master); Battaglia, in via Ruggero Settimo, che di anni ne aveva più di 70, e due colossi come Hugony e Russo, entrambe con alle spalle una storia plurisecolare.
Ma a fare i conti con lo tsunami della crisi sono anche realtà più grandi. Basti pensare a Grande Migliore, megastore di elettrodomestici, oggettistica e tecnologia con sedi a Palermo e a Trapani, che ha chiuso i battenti dopo 84 anni di attività lasciando a casa 269 lavoratori (ora in parte riassorbiti dal gruppo Bellavia che gestisce il marchio Casa Crea e che ha da poco riaperto il punto vendita di Trapani); Max Living del gruppo Electromarket Li Vorsi, azienda che negli ultimi 5 anni ha visto dimezzare il proprio fatturato, marciando lentamente verso il fallimento e lasciando a casa 200 persone.
E la lista si allunga con pub, ristoranti (negli ultimi tre mesi sono 70 le chiusure. Ultimi, in ordine di tempo, ristoranti con più di vent’anni di attività come il “Renna Restaurant” di via Principe di Granatelli, “Capricci di Sicilia” in piazza Sturzo e “Ma che bontà” in via Emilia), alberghi e supermercati.
“La crisi – commenta Mimma Calabrò, segretario generale Fisascat Cisl di Palermo – sta investendo tutti i settori. Giornalmente chiudono aziende e si perdono centinaia di posti lavoro. È diventata prassi ormai ricevere note di aperture di procedure di mobilità, di licenziamenti collettivi, di richieste di cassa integrazione, segnale che la nostra economia è letteralmente in ginocchio”.
“Il dato che più dà il senso della gravità e della pesantezza della crisi a Palermo è rappresentato dal numero delle imprese con procedure concorsuali (2.988) e in stato di liquidazione (5.231), imprese destinate alla chiusura”, ha detto il presidente di Confcommercio Palermo Roberto Helg appena qualche mese fa.
Ma nessuno sembra più farci caso. E intanto la crisi spazza via tutto, cambiando il volto a una città. Indisturbata.