PALERMO- Venne, vide, vinse (prima), perse (dopo). Beppe Grillo venne in Sicilia, attraversando lo Stretto a nuoto e riservandosi il viaggio sul mare, a piedi, per un secondo miracolo mai accaduto. Vide il popolo, infiammò i comizi col fuoco della sua eloquenza. Apparizione fulminea, concetti sparati a palla senza soluzione di continuità. Alcuni estratti, perché giova partire dai documenti. “Sta fallendo non per il debito ma per il credito: lo Stato italiano le deve un miliardo di euro. Non è la Sicilia che ha bisogno dell’Italia, ma è il Paese che ha bisogno dell’isola. Se la Sicilia si staccasse ci sarebbe un effetto domino per tutte le regioni d’Italia”. E uno. “Totò Cuffaro è uscito dal carcere che è una meraviglia di persona. Quell’altro, Lele Mora, è dimagrito: si fanno la beautyfarm e la paghiamo noi. E due. “Qui non c’è più (la mafia)… non la vedo. Si è trasferita al Nord, dove ci sono i grandi lavori”. E tre. “Finalmente una buona notizia. Ogni tanto bisogna guardare il grande cielo azzurro e tirare il fiato. Settanta giornali rischiano di chiudere”. E quattro. Battute taglienti. Buonissime per una commedia di graffio e di assalto. Eppure era (anti) politica.
E venne, Grillo. Condusse le sue truppe all’Ars. Altre ne dislocò a Roma e dintorni. Riccardo Nuti, votato al consiglio comunale di Palermo con una valanga di X (sulla scheda c’era apposto un conveniente ‘detto Grillo’) è capogruppo alla Camera. Giancarlo Cancelleri ha le insegne del deus ex machina regionale. Cognomi sconosciuti alle cronache risultarono complici di una ventata di freschezza. C’era anche Antonio Venturino, una carriera artistica rispettabile, non ricca. La storia è nota. I maligni sostengono che il vicepresidente dell’assemblea in quota Cinque Stelle abbia reciso gli ormeggi per una questione di moneta. Lui ha replicato, immutabile: non soldi, idee.
La novella dei grillini infiammò una terra talmente affamata da implorare sogni, non più soltanto appannaggi reali. Furono giorni intensi da raccontare. La marcia verso Palazzo dei Normanni con lo striscione e il codazzo. L’ingresso in Parlamento con l’aria dei conquistadores. Ora, rimane, di tutto quell’armamentario, il ballottaggio per la poltrona di sindaco a Ragusa nelle ultime amministrative. La domanda di simpatizzanti e antipatizzanti cambia accento, non sostanza: perché?
E Grillo perse nell’Isola che lo aveva scelto. Perché? Colpa della stampa complottarda? Colpa del fatto che una cosa è Beppe (Grillo) e un’altra è Giancarlo (Cancelleri)? Colpa di elezioni che poco si adattano ai movimenti non radicati? Colpa di una cattiva (sesta) stella? Colpa di Crocetta? I dati sono pessimi. Dal tre al sei per cento. Una strage. Che ha una premessa evidente: la latitanza di una politica concreta. In fondo, i grillini sono caduti nel vizio degli altri partiti. Si sono nutriti di demagogia, tralasciando i fatti, dove per fatti si intendono progetti che sazino la fame della gente.
Quali sono stati i frutti della predicazione a Cinque Stelle, dopo che una catapulta ha lanciato dei cittadini irreprensibili e sconosciuti nel cuore del potere? Nei mesi scorsi, abbiamo assistito a molti dibattiti percepiti dal pubblico come dotte discussioni sul sesso degli angeli. La vicenda delle indennità. La polemica sulle cariche all’Ars. La querelle su Venturino che è appunto diventata una rissa di portineria. La battaglia ideologica anti-Muos. Infinite verbosità, innumerevoli disfide per approdare a nulla di serio, a niente che il popolo acclamante potesse toccare. Si sa che un popolo che acclama sotto un nuovo balcone, tende la mano per avere qualcosa da stringere in cambio dell’affetto. E la scelta di non scegliere a Roma, scartando la prateria offerta dal Pd, ha peggiorato il clima.
Perfino l’attenzione da studenti modello, atterrati sul pianeta malvagio e ignoto, si è rarefatta in una bolla indistinta, con l’inutile fierezza della biciclette e del mezzo pubblico invece dell’auto blu. Gli scarni obiettivi raggiunti o perlomeno sollecitati da interventi in aula e nelle commissioni, sono stati coperti dalla verve teatrale di Rosario Crocetta, In confronto, Grillo, quello in carne e ossa, è un dilettante dell’avanspettacolo. Nulla eguaglia la naturalezza del governatore quando si trova su un palco con un microfono in mano. L’icona splendente del nuotatore è stata assorbita da qualcosa di più forte. Il presidente Crocetta si è incoronato col marchio contraddittorio della rivoluzione permanente, togliendo ai pentastellati (sinonimo un po’ da Luke Skywalker) l’ossigeno della propaganda. Chi sono i grillini in Sicilia? Sono le figurine in secondo piano nella foto che stanno a sentire con reverenza gli annunci presidenziali. E poi chiosano: “E’ pure merito nostro”.
La sconfitta di Beppe e dei suoi figli adottivi in questa terra senza futuro e con la speranza ancora accesa si delinea in due ingredienti, dunque. L’endemica leggerezza del rifiuto che è una patologia nazionale. La sfortuna colossale dei grillini locali che si sono visti rubare la scena da uno assai più esperto di loro nell’arte di mandare messaggi. Il balcone di Crocetta prevede bei discorsi e qualche pacco regalo ben confezionato da lanciare ai questuanti. E funziona.
Giancarlo Cancelleri ha commentato la scoppola amministrative con umiltà rassegnata: “Siamo giovani, e forse abbiamo commesso qualche errore”. E’ un riconoscimento che rende onore alla sua causa. Giancarlo non è Beppe, ma potrebbe pure diventare un punto di riferimento, abbandonando la scenografia del capostipite, per costruire una speranza coerente.
I problemi denunciati dal comico eretico sono rimasti sul tappeto, immobili. E ci vorrà ben altro che una nuotata o una camminata sulle acque per risolverli. Ci vorrebbe una politica all’altezza dei tempi stretti, piuttosto che la traversata dello Stretto. Questo sarebbe, sì, un vero miracolo.