Le dita febbrili di centinaia di dannati reclusi in nome di Dio hanno grattato i mattoni in cotto del pavimento, legandoli con saliva, acqua, latte e altri liquidi organici disponibili per creare colori che dessero voce alla loro sofferenza. Per secoli quelle grida di dolore sono rimaste seppellite sotto strati di calce, suppellettili, tramezzi che l’incuria dell’uomo aveva depositato lì nel frattempo. Adesso, mani sapienti di restauratrici hanno dato volto e identità a quei fantasmi senza pace, puniti dal tribunale della santa Inquisizione in Sicilia. Dopo quattro anni di lavori, e grazie a un finanziamento europeo di quasi otto milioni di euro, si è concluso il restauro delle carceri dell’Inquisizione spagnola a Palermo, alle spalle dello Steri, sede del rettorato dell’Università. Fino a domenica il pubblico potrà ammirare l’emozionante scoperta nell’ambito della manifestazione “Le vie dei tesori”.
“Quando abbiamo cominciato i lavori speravamo di recuperare i graffiti che Pitrè aveva scoperto all’inizio del secolo al primo piano – ha detto il rettore Giuseppe Silvestri, in carica fino al 1 novembre, quando cederà il posto a Roberto Lagalla – mai avremmo pensato che nelle celle del piano terra si rivelassero ai nostri occhi nuove testimonianze eccezionali”.
“Morti viventi” li ha definiti Eliana Calandra, direttrice del museo Pitrè. Fattucchieri, atei, bestemmiatori, adulteri, i reclusi che non sfuggivano agli aguzzini. In realtà spesso erano poeti, artisti, intellettuali avversari dell’ortodossia religiosa, che con i loro graffiti hanno consegnato una testimonianza che è allo stesso tempo opera d’arte e atto d’accusa contro le ingiustizie del potere. E’ solo nel 1906 che le voci dei prigionieri soffocate dalla calce iniziano a raccontare la storia dell’Inquisizione in Sicilia, grazie ai lavori di ristrutturazione degli operai. Pitrè lavora di notte, insieme al figlio, per portare alla luce i graffiti, ma è solo molto tempo dopo che il complesso delle celle restaurate rivela l’ironia di cui sono capaci i reclusi: una crocifissione in cui gli aguzzini sono gli inquisitori, un disegno osceno nella latrina di una cella, ma anche un credo scritto in inglese, testimonianza di un luterano. Per mezzo secolo le celle restano ingombre della roba accumulata da un rigattiere, Don Totò, che occupa l’edificio dopo la seconda guerra mondiale e lo usa come una discarica: nel 2002 occorrono 54 camion per liberare gli spazi, ancora parzialmente ingombri.
Costruito nel 1601, il sito fu aperto nel 1603 e utilizzato come carcere fino al 1782, anno di abolizione del tribunale religioso in Sicilia. E’ solo nel 1960 che il ministero della pubblica Istruzione sottopone a vincolo architettonico Palazzo Steri, mentre è nel 1973 che l’edificio viene concesso all’università degli studi, che affronta le spese per il restauro e lì trasferisce la sede del rettorato. Domenico Policarpo direttore dei lavori, dice: “Dal 2003 l’ufficio tecnico si occupa dei lavori alle carceri penitenziarie. Nei sotterranei è stata scoperta un’area archeologica, corridoi e un’antica scala”.
“Al piano terra ci sono graffiti che vanno dal 1608 al 1633, mentre al primo piano i disegni vanno dal 1632 al 1646, data alla quale risale l’ultima scritta decifrata di un prigioniero che dice ‘ebbi la tortura’ “, spiega Margherita Mancuso, ispettore dei cantieri. All’interno di una parete è stato ritrovato persino un nodo di garza con dentro un biglietto e dei resti ancora da analizzare.
Così ora le vicende di una fanciulla molestata da un guardiano e morta in cella, insieme a Paolo Majorana, condannato per aver imprecato, o Francesco Mannarino, pescatore rapito dai corsari berberi e costretto due volte a cambiare religione insieme all’eroe Fra Diego La Matina, che riuscì a uccidere il suo aguzzino e che fu celebrato da Sciascia, hanno finalmente un nome e un volto da scoprire.
Sabato, alle 18, Mauro Matteini, responsabile del restauro dei graffiti, racconterà il recupero dei disegni, mentre alle 19.30 Francesca Spatafora, direttore degli scavi archeologici svelerà i segreti dell’edificio apogeico scoperto durante i lavori. Alle 21, invece, il cantastorie Paolo Zarcone eseguirà la “cantata per i prigionieri”. Il tema delle persecuzioni in ogni tempo sarà al centro di un dibattito tenuto dallo scrittore Vincenzo Consolo, mentre alle 19.30 le restauratrici racconteranno tecniche e aneddoti dell’operazione. La serata si conclude alle 21, con un recital di testi e musiche curato da Filippo Amoroso e Laura Anello, dedicao alle vittime dell’Inquisizione, insieme al coro “Cum Iubilo”.