CATANIA – “In Libia esiste un racket di esseri umani”, ma allo stato “non esistono elementi per ritenere che esistano basisti a Lampedusa”, e quindi questa “ipotesi di reato non può essere perseguita in Italia”. Lo ha affermato il procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, facendo il punto sull’inchiesta sul naufragio del 3 ottobre scorso davanti all’isola delle Pelagie con 363 migranti morti. “Con il fermo dello scafista, convalidato dal Gip – osserva il magistrato a ‘Prima di tutto’ su Rai Radio 1 – la nostra inchiesta sul naufragio del 3 ottobre, in collaborazione con la Dda di Palermo, al quale va ascritta la competenza per i fenomeni di tratta di esseri umani, va avanti. Ora si cerca di individuare se esistano altri soggetti che avrebbero collaborato nella vicenda che ha poi portato al naufragio”.
“Sappiano che in Libia – conferma Di Natale – operava una vera e a propria organizzazione che reclutava persone per fare questi tour con delle carrette per mare. Un racket di esseri umani. Il problema però è che questa ipotesi di reato può essere perseguita in Libia, ma non in Italia. Altro problema – sottolinea il procuratore – è verificare se ci siano collegamenti tra quelle persone che operano in Libia e altre che invece si trovano nel nostro territorio. Allo stato, non ci sono elementi per ritenere che esistano basisti di questo racket a Lampedusa, ma l’indagine va avanti e non posso escludere prove contrarie”. Sull’aspetto umano derivante da queste tragedie, al di là dell’indagine, Di Natale dice: “Colpisce e sconvolge le proporzioni di questi drammi: la morte dei bambini, la vicenda di queste persone che sfidano la morte pur di sfuggire a una realtà evidentemente molto triste”.